
Chi è il curatore? Cosa cura? Chi cura? C'è qualcuno che sta male?
Chi è davvero il curatore d’arte? Non un artista, né un autore. Un ruolo nato negli anni ‘90 per organizzare l’arte globale, oggi diventato protagonista delle scene, spesso più visibile degli artisti stessi.
Mi colpisce sempre moltissimo quando in occasione di grandi manifestazioni di arte contemporanea vengono annunciati i curatori d'arte in pompa magna, e poi intervistati come se questi fossero dei "super registi" che a breve presenteranno la loro opera, il loro attesissimo film che colpirà, emozionerà e spiegherà la verità a tutta l'umanità. In realtà i curatori d'arte non creano nulla perchè diversamente li chiameremo "artisti".
Questa figura è nata negli anni '90 come evoluzione, o involuzione, del critico d'arte. Alle grandi committenze di biennali, fiere e musei serviva una figura che potesse mettere in ordine un'enorme quantità di artisti che, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, iniziavano ad arrivare anche dalle periferie del mondo. Questo ruolo è ancora oggi attivo ed è stato assimilato non sono dalle biennali ma anche dai musei e addirittura dalle fiere. Il curatore d'arte intercetta la committenza e diventa un filtro importante come se gli artisti perchè troppi, deboli e indistinguibili, non possano, e non siano in grado, di parlare direttamente con la committenza. Molte volte il curatore diventa una figura essenziale per rispondere alle esigenze e ai capricci degli artisti, una sorta di necessario cuscinetto tra la committenza e gli artisti stessi.

Ció nonostante il curatore d'arte non crea nulla ma si limita ad affiancare opere altrui creando una successione di opere coerente rispetto un certo tema o taglio curatoriale. Se invece si occupa di una mostra monografica, quella che chiamiamo "mostra personale", il curatore cerca di ottimizzare e presentare al meglio le opere e l'attitudine che caratterizza quel dato artista. Ma non fa mai l'opera. Se guardiamo le ultime Biennali di Venezia, ma direi tutte le grandi manifestazioni internazionali, assistiamo ad una fortissima personalizzazione del curatore come se questo fosse effettivamente un "super artista". L'effetto finale è molto strano perché il curatore, non essendo un artista, non crea effettivamente nulla e nel momento in cui invita un'enorme quantità di artisti, il rischio è quello che non possa davvero emergere nulla. Ecco perchè dopo queste grandi rassegne abbiamo un senso di vuoto e l'unica cosa che alla fine ci ricordiamo è proprio il nome del curatore o dei curatori. La Biennale di Gioni, la Biennale di Bonami, la Biennale di Alemani. Ma costoro non sono artisti e nemmeno registi che fondono e uniscono tante maestranze artistiche in un'opera unica. Questa personalizzazione forzata serve tantissimo ai giornali e alla comunicazione social, proprio perché in copertina devono mettere qualcuno, non possono certamente mettere 50, 100 o 200 artisti. Solo pochi giorni fa sono stati annunciati i 54 artisti della prossima Quadriennale di Roma che aprirà in ottobre 2025, ma da più di un anno assistiamo a conferenze stampa su conferenze stampa, interviste ai curatori sui social, articoli di presentazione dei curatori e dei loro intenti. Questa cosa ci appare normale e scontata ma sarebbe come se in vista del nuovo film di Quentin Tarantino i giornalisti non intervistassero il regista o gli attori, ma qualcun'altro che ha il compito di presentare al meglio la trama del film o il film stesso.
Intendiamoci bene. Il ruolo del curatore come forza propositiva, come attivatore, facilitatore e ottimizzatore del lavoro di un'artista, avrebbe un ruolo fondamentale a patto che però non vada a soverchiare e sopraffare gli artisti e le loro opere, dichiarando intenti per progetti e opere che non esistono. Perchè in questo caso l'unico risultato sarebbe il vuoto. Nessuno sta male. Se qualcuno stesse male e il curatore pensasse di avere la soluzione dovrebbe allora diventare lui stesso artista.
Immagine di copertina: The image of an art critic inside a contemporary art gallery, Courtesy of Luca Rossi
“Luca Rossi” è stato definito da Fabio Cavallucci la personalità artistica più interessante in Italia, il "rompiscatole del mondo dell'arte" (Nicolas Ballario) e la "nuova Vanessa Beecroft" (Giacinto Di Pietrantonio). Dal 2009 "Luca Rossi", collettivo aperto, blogger, critico, curatore, artista, figura controversa del sistema dell'arte, cerca di stimolare quotidianamente un maggiore confronto critico nell'ambito dell'arte contemporanea, come materia che potrebbe avere un ruolo fondamentale per il nostro presente. Dalle sue stesse riflessioni critiche, molto popolari nel mondo dell'arte, è discesa una progettualità artistica non convenzionale, progetti di divulgazione e di formazione con la creazione nel 2016 della "Luca Rossi Art Academy & Coaching". Alcuni "nodi critici" sviluppati negli anni da Luca Rossi (“Ikea Evoluta”, “Sindrome del Giovane Indiana Jones” e “Nonni Genitori Foundation”, ecc) sono entrati nel linguaggio dell'arte italiana e hanno modificato la prospettiva e la visione di molti operatori del settore e non solo. Nel 2014 la famosa critica d'arte Angela Vettese ha dichiarato che da quando legge i testi di Luca Rossi ha deciso di non dedicarsi più alla pratica dell'arte ma solo alla teoria.