Cosa succede quando l’arte viene distrutta?

Quattro artisti raccontano le loro esperienze personali con opere d’arte perse, danneggiate o distrutte – tra errori umani, violenze e atti necessari di autodistruzione.

08.09.25

Gli artisti dedicano la vita alla creazione, ma cosa succede quando queste creazioni vengono distrutte? Errori di spedizione, giudizi sbagliati e momenti disastrosi di goffaggine in studio che portano a opere sfigurate, rovinate del tutto o semplicemente scomparse sono cose comuni; quasi un rito di passaggio che pare tutti gli artisti debbano attraversare a un certo punto della loro carriera. E quindi, cosa succede dopo? Quali aspetti positivi si possono recuperare quando un’opera è danneggiata oltre ogni possibilità di riparazione? Chi paga il prezzo degli errori burocratici? Ho parlato con quattro artisti con base a Londra riguardo le loro esperienze con la distruzione, per scoprirlo.

Arizona Smith è un’artista visiva multimediale, e l’assurdità della situazione che ha visto un mucchio delle sue opere su carta appena vendute andare distrutte è stata tale da farla ridere, invece che piangere. “Mi ero appena trasferita in un nuovo appartamento e avevo messo le opere vendute in un unico mucchio, pronte per essere spedite. Avevo lasciato aperta la finestra che dava sul tetto così che il gatto potesse uscire, se avesse avuto bisogno della lettiera, come al solito quando andavo al lavoro.” Penso che tu possa intuire dove si va a parare… “Quando sono tornata, la finestra si era chiusa per colpa del vento e il mio gatto aveva usato il mucchio dei dipinti venduti come lettiera – quasi tutti erano coperti di pipì di gatto!” mi ha raccontato Smith. “Sono riuscita a salvarne alcuni, e in qualche modo ho trovato la cosa più divertente che devastante – sembrava tutto molto da commedia slapstick.” Smith ha informato i collezionisti del danno, rimborsando l’acquisto o creando nuove commissioni.

La reazione di Aysha Nagieva alla scoperta che il suo lavoro non avrebbe mai raggiunto il collezionista è stata invece tutt’altro che spensierata. Il lavoro della Nagieva è dominato da rappresentazioni delle bambole Nevalyashka dell’Europa orientale, della sua infanzia, ma una serie di errori – entrambi dovuti alla sua galleria di allora – ha fatto sì che due di questi dipinti non venissero mai consegnati. “La prima volta stavo spedendo un dipinto arrotolato (senza telaio) perché stavo lavorando con una galleria online subito dopo il COVID. Loro insistevano affinché gli artisti spedissero le opere ai collezionisti solo arrotolate, perché era l’opzione più economica” mi racconta Nagieva. “Non ero convinta (non è il modo più sicuro di spedire), così ho deciso di affidarmi a un’azienda specializzata nell’imballaggio che mi ha assicurato che lo avrebbero spedito arrotolato in sicurezza. Quando il pezzo è arrivato al collezionista, era tutto piegato e mi è stato rispedito per essere riparato.” Questo primo danno, purtroppo, non è stato l’ultimo: “Una volta fatto il necessario restauro e rispedito al compratore, il dipinto è andato perso durante la spedizione e il collezionista ha ricevuto solo un tubo vuoto, cosa che ancora oggi mi lascia perplessa.” In seguito, quando un suo quadro è stato venduto in una mostra in Belgio, e nonostante l’insistenza di Nagieva nel farlo spedire in una cassa (per evitare una ripetizione del disastro precedente) e il fatto che avesse persino fornito lei stessa la cassa riutilizzabile, “hanno deciso di toglierlo dal telaio… e nel farlo, il dipinto si è strappato.” In entrambi i casi, clienti e galleristi hanno cominciato a scaricarsi le colpe a vicenda, e nel primo caso Nagieva ha dovuto restituire alla galleria la sua parte della vendita per coprire la perdita. “La galleria con cui lavoravo all’epoca era abbastanza losca e io ero giovane e ingenua. Credo che debba essere la galleria a coprire completamente i costi assicurativi, così che se un’opera viene persa o distrutta, l’artista non debba subirne le conseguenze economiche.” Deludente anche la reazione della seconda galleria: “Presumo che il gallerista fosse preoccupato all’idea di dire al collezionista che il dipinto non era recuperabile, perché non voleva restituirgli i soldi. Così ha cominciato a supplicarmi di realizzare una copia identica dell’opera danneggiata e spedirgliela rapidamente, in modo da non dover dare la notizia all’acquirente.” Lei ha rifiutato.

LUAP, broken bear
LUAP, broken bear
LUAP, broken bear
LUAP, broken bear
LUAP, broken bear

Anche se dietro alla gestione incompetente delle opere e alle spedizioni fallite non c’è intenzione maliziosa, questi episodi rappresentano comunque un’esperienza profondamente lesiva per l’artista. Quanto dev’essere peggio, allora, quando l’arte viene attaccata intenzionalmente e con violenza? LUAP è un artista multidisciplinare londinese, noto a livello internazionale per il suo Pink Bear, un personaggio che appare nelle sue sculture, dipinti e murales pubblici. Quest’anno ha installato una gigantesca testa gonfiabile di Pink Bear, alta quattro metri, in un campo da golf rinaturalizzato, come parte di una mostra pubblica gratuita. LUAP aveva creato il gonfiabile per “stimolare conversazioni sulla salute mentale e sulla resilienza emotiva”, lavorando direttamente con la charity Mind e parlando con persone che affrontano problemi di salute mentale – “le loro voci hanno contribuito a modellare quella scultura”.

“Poi qualcuno l’ha colpita con un coltello."

Il gonfiabile è stato squarciato più volte, irrimediabilmente. “È stato come se qualcuno avesse attaccato i valori che rappresentava – gentilezza, cura, apertura… l’orso rappresentava la vulnerabilità nello spazio pubblico.” LUAP ricorda che la galleria gli ha suggerito di riempirlo di paglia per ripararlo, ma “sembrava una soluzione superficiale – come se rattopparlo potesse cancellare ciò che era accaduto. Così l’ho lasciato dov’era. Sgonfio. Una sagoma piatta a terra. Quello mi è sembrato un messaggio più onesto.” L’artista aveva pianificato di raccogliere i resti dell’installazione nel weekend, nel caso fosse possibile tentare una riparazione, ma al suo ritorno ha trovato che i resti erano stati bruciati, lasciando solo alcuni pezzi di tessuto rosa fuso. “Altre opere nei dintorni erano state danneggiate dal fuoco, ma l’orso – che era il fulcro della mostra – era chiaramente il bersaglio. Di nuovo, non posso provarlo – ma sembrava deliberato. Non mi sono sentito supportato. La galleria mi ha dato un numero d’incidente della polizia e poco altro. Mi è toccato sopportare da solo il peso emotivo ed economico.”

Deconstruction, Krzysztof Strzelecki, Cruising Fantasies Deconstruction, Krzysztof Strzelecki, Cruising Fantasies

Per Krzysztof Strzelecki, artista che lavora con ceramica e oggetti scultorei dipinti, focalizzandosi sulla storia queer, le storie di distruzione si trovano all’estremo opposto dello spettro, perché si trova spesso a dover distruggere lui stesso il proprio lavoro. “Cerco di non distruggere nulla a meno che non sia veramente irrecuperabile o che abbia vissuto con me per un po’ e continui a non convincermi,” mi dice. “Spesso faccio prove o pezzi che penso siano forti, ma dopo la cottura manca qualcosa. Forse la narrazione non funziona, o la smaltatura è uscita male, o il legame emotivo semplicemente non c’è. Quando succede, non prendo decisioni affrettate. Porto il pezzo a casa, ci vivo accanto, lo osservo in un contesto diverso. Se ancora non mi piace dopo un po’, allora è il momento di dirgli addio.” Queste distruzioni non nascono da frustrazione, ma dagli alti standard che mantiene nella sua pratica: “Voglio essere orgoglioso di tutto ciò che esce dal mio studio. Devo amarlo. Se non supera quella soglia, allora la distruzione diventa necessaria. In un certo senso è una forma di editing – la più fisica. Liberare spazio per lavori migliori, decisioni più forti, una pratica più onesta.” Questo processo brutale non è facile: “il primo colpo di martello è sempre il più difficile. C’è paura, esitazione, persino insicurezza” condivide Strzelecki. “Ma poi arriva il sollievo. A livello emotivo, è una liberazione. A volte, perfino eccitazione. Quando scelgo di distruggere un pezzo, me ne assumo la piena responsabilità. Quella decisione nasce dall’istinto, dall’esperienza, e da una consapevolezza chiara che il lavoro non è all’altezza, che non contiene ciò che vorrei. C’è una certa chiarezza in questo.” Questa chiarezza non arriva, invece, quando le sue opere si rompono durante la cottura. “Quando qualcosa esplode nel forno, è tutta un’altra sensazione. È un misto di frustrazione, confusione e tristezza per un progetto incompiuto. La domanda ‘perché’ inizia a rimbombare nella mia testa: è stata sfortuna, un errore tecnico o qualcosa che non avevo previsto? Non sapere cosa sia andato storto – questo è ciò che trovo più difficile da accettare. Posso accettare la perdita, ma l’incertezza resta più a lungo.”

Per ciascuno di questi artisti, nonostante la natura dolorosa delle loro perdite, sembra che siano comunque riusciti a trovare degli aspetti positivi nell’esperienza della distruzione. “Col tempo ho iniziato a vedere questi episodi come parte del processo, non come interruzioni. Mi hanno spinto ad adottare una prospettiva più aperta, qualcosa di simile alla filosofia del wabi-sabi – la bellezza dell’imperfezione, della transitorietà. Permettermi di distruggere il mio stesso lavoro, qualcosa a cui ho dedicato tempo, energia e cura – mi ha reso più forte. Più sicuro di me… se c’era qualcosa che non mi convinceva del tutto la prima volta, ora ho la possibilità di rifarlo meglio, più chiaro, più forte,” mi dice Strzelecki.

The Fool The Fool

Anche Nagieva sente di aver rafforzato la propria resilienza e i propri confini dopo le esperienze di cattiva gestione da parte delle gallerie, e si sente ora più forte nel scegliere con chi lavorare. “L’ho imparato a mie spese e mi rifiuto di lavorare con gallerie che non coprono l’assicurazione delle opere durante la spedizione e mentre sono in galleria. Queste due esperienze mi hanno resa molto più selettiva.” C’è però un’ansia che resta, e questi incidenti l’hanno resa più “protettiva” nei confronti del suo lavoro: “Ora tratto i miei quadri come se fossero i miei bambini, e se sento che una galleria non offre un’opzione sicura e assicurata per la spedizione, non voglio rischiare. Il mio lavoro è molto più prezioso e importante per me di qualunque opportunità apparentemente eccezionale che mi chieda di ignorare i miei limiti in ambito professionale.”

Perfino LUAP, che ha vissuto il tipo più grave di danno criminale, seguito da reazioni superficiali da parte degli organizzatori – che l’hanno perfino rimosso da una chat collettiva dicendo che i suoi messaggi “creavano un’atmosfera spiacevole” quando invece aveva solo bisogno di sostegno – ha tratto determinazione dall’accaduto: “Il messaggio dietro l’orso – che la gentilezza deve essere protetta – non è stato ignorato solo da chi l’ha squarciato. È stato ignorato anche da chi avrebbe dovuto difenderlo. Questo ha chiarito tutto. Ora ho le idee più chiare che mai su cosa sia il mio lavoro e a chi si rivolga. La distruzione non ha cancellato il messaggio. L’ha amplificato. Ha dimostrato quanto sia fragile la cura pubblica – quanto facilmente il significato può essere rubato, riconfezionato, cancellato. Ma ha anche dimostrato che il lavoro è necessario. Le persone hanno reagito – con violenza, con indifferenza, a volte con supporto – perché il lavoro chiedeva loro qualcosa. Esponeva emozione alla luce del giorno. Continuerò a creare arte che faccia questo. Continuerò a mettere la cura nello spazio pubblico. Continuerò a insistere che la vulnerabilità ha diritto di esistere in modo visibile. Anche quando viene distrutta. Soprattutto allora.”

Smith, semplicemente, ora lega la finestra.

Immagine di copertina: Deconstruction, Krzysztof Strzelecki, Cruising Fantasies

Verity Babbs è una storica dell'arte, presentatrice e comica del Regno Unito. Dirige le serate comiche a tema artistico “Art Laughs”, che si svolgono regolarmente alla National Gallery di Londra, ed è apparsa su BBC Radio 4 e BBC News. Ha scritto per diverse pubblicazioni artistiche, tra cui il Guardian, RA Magazine, Hyperallergic e Artnet News, e ha lavorato come presentatrice per la Tate, la London Art Fair e la galleria Elizabeth Xi Bauer.

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