IL DELITTO DEL GALLERISTA GIOVANNI SCHUBERT

La storia del brutale omicidio commesso da Matteo Chigorno, che scosse la città di Milano e l’intero mondo dell’arte.

04.06.25

Milano, è la mattina del 4 marzo 2010. Un uomo è a torso nudo nel suo bagno. È tutto sudato, si guarda allo specchio e non sembra riconoscersi. Gli occhi sono sbarrati, il volto è bianco. Apre l’acqua del lavandino e inizia a lavarsi energicamente le mani. Le strofina più forte che può. Vuole cancellare quello che ha fatto. Ogni macchia di quel liquido è una traccia, una conferma che quello che è successo è tutto reale. La saponetta si consuma tra le sue mani, ma certe macchie non se ne vogliono andare, e forse resteranno per sempre lì. Quell’uomo si chiama Matteo, e quello che ha sulla sua pelle è sangue, ma non è il suo.

L’acqua si colora di un arancio sporco, scorre via lungo le tubature e si perde nell’oscurità di quel buco profondo di cui ormai non si vede più la fine. Chi conosce Matteo lo descrive come un tipo un po’ strano, lunatico, ma nessuno si sarebbe mai immaginato che fosse capace di fare quello che ha appena fatto. Tanto meno sua mamma, che lo ha cresciuto con i valori della borghesia milanese.

Ritratto di Matteo Chigorno,  immagine creata con intelligenza artificiale Ritratto di Matteo Chigorno, immagine creata con intelligenza artificiale

Matteo Chigorno nasce a Milano, in una famiglia benestante con una lunga tradizione di avvocati alle spalle. Un ambiente in cui il rispetto è la regola, almeno in superficie, ma dove ogni componente è inevitabilmente chiamato a confrontarsi con i successi degli altri. Matteo, però, è ancora troppo piccolo per percepire tutto questo. Per lui, la vita sembra semplice: è un bambino che non deve chiedere mai troppo, cresciuto in un’infanzia serena, piena di giochi e possibilità. Tutto sembra filare liscio, fino a quel giorno tragico.

Matteo ha 12 anni quando la malattia entra nella sua vita. Suo padre è affetto da sclerosi multipla, una patologia degenerativa che trasforma il corpo in modo irreversibile. Un destino difficile da accettare, forse impossibile. È ciò che pensa anche il padre di Matteo, che decide di togliersi la vita, scegliendo lui stesso quando porre fine alla propria esistenza.

Da quel momento, Matteo cresce con la madre, una figura che diventerà per lui un punto di riferimento assoluto. Nonostante l’amore e la dedizione della donna, l’assenza del padre resta una ferita aperta, impossibile da colmare.

Arriva il tempo del liceo scientifico: è l’età dei primi sogni, dei progetti per il futuro. Matteo scopre la passione per la fotografia e per il giornalismo legato all’arte e alla moda. Inizia a scrivere i suoi primi articoli, a dedicarsi a ciò che davvero lo appassiona.

Giovanni Schubert, ritratto creato con intelligenza artificiale Giovanni Schubert, ritratto creato con intelligenza artificiale

Nel 1999, l’incontro che cambierà tutto: Giovanni Schubert, mercante d’arte e gallerista. Un legame immediato, quasi inevitabile. In quell’uomo, Matteo rivede la figura paterna che gli è mancata troppo a lungo. Comincia così un rapporto di lavoro che durerà oltre cinque anni.

Schubert aveva fondato la galleria Arte Borgogna nel 1967 e, negli anni, aveva lavorato con artisti del calibro di Lucio Fontana, Emilio Vedova, Mimmo Rotella, Martial Raysse, Riopelle, Asger Jorn, Wilfredo Lam, Luciano Fabro, Alighiero Boetti, Giulio Paolini e Arman.
La galleria aveva inizialmente sede in via Borgogna 7, a Milano, per poi trasferirsi nel 1989 nei locali di via Visconti di Modrone 20, a pochi metri di distanza dalla sede originaria.

Matteo entra in quel mondo spinto dallo stesso Schubert, che gli accorda grande fiducia e, con il tempo, gli affida un numero sempre maggiore di incarichi. Giovanni Schubert è un uomo brillante, con un forte senso della famiglia e un ottimo fiuto per gli affari. Sa riconoscere il valore di un artista prima che diventi celebre. Anche la città di Milano riconosce il suo contributo, assegnandogli tre Ambrogini d’oro, l’onorificenza riservata a coloro che si sono distinti per il proprio impegno civico.

Arriviamo così al 2005, in occasione di una mostra di opere di Mario Schifano allestita alla Reggia di Caserta. Durante l’esposizione vengono individuate tre opere ritenute false, che sarebbero state inserite nel progetto per essere successivamente autenticate come vere dalla stessa Fondazione Schifano. Vengono accusati i mercanti romani Giancarlo Iosimi e Daniele Iosimi, insieme a Giovanni Schubert, coinvolto come consulente esterno.

Tutti e tre vengono posti agli arresti domiciliari e, per Schubert, comincia il periodo più buio della sua carriera. È preoccupato per i suoi affari e per la possibilità che la sua galleria venga irrimediabilmente macchiata dallo scandalo. Decide così di correre ai ripari, delegando a Matteo il compito di sistemare gran parte delle opere della galleria in diversi magazzini. Matteo sembra essere all’altezza dell’incarico e porta avanti il lavoro con impegno. Tuttavia, iniziano a emergere i primi sospetti su alcune vendite che gestisce personalmente.

Galleria d'arte, immagine creata con intelligenza artificiale Galleria d'arte, immagine creata con intelligenza artificiale

Giovanni vorrebbe continuare a fidarsi, ma comincia a guardarlo con occhi diversi. Due anni più tardi, con una sentenza del 12 ottobre 2007, Giovanni Schubert viene assolto con formula piena: “per non aver commesso il fatto".

Il rapporto con Matteo, però, non torna mai più quello di un tempo. L’assistente decide di lasciare la galleria – di cui nel frattempo era diventato direttore – e di intraprendere un percorso autonomo.
Nel 2008 apre così «Arte2 Gallery» in via Boltraffio, nei pressi della stazione Centrale di Milano, specializzandosi in street art. Ma gli affari non decollano e, dopo poco, è costretto a chiudere. Mantiene comunque un rapporto professionale con Schubert, per il quale continua ad acquistare e vendere opere, ricavandone una percentuale.

Siamo nell’inverno del 2010 quando Giovanni Schubert contatta una casa d’aste di Parigi, con cui collabora da anni, per vendere alcune opere. Il direttore della casa d’aste, però, gli comunica che quelle stesse opere sono già state vendute da Matteo.
Schubert si sente tradito. Quel ragazzo a cui aveva dato fiducia, che aveva formato e sostenuto, lo aveva umiliato nel peggiore dei modi. Si parla di una cifra compresa tra i 35.000 e i 70.000 euro. Giovanni pretende spiegazioni: perché Matteo ha venduto quelle opere a sua insaputa? E perché a un prezzo inferiore al loro reale valore?

Matteo inizialmente si rende irreperibile. Non risponde alle telefonate, accampa scuse, rimanda. Finché, un giorno, accetta di incontrarlo. Gli dà appuntamento a casa sua, nel tardo pomeriggio del 3 marzo 2010. Matteo abita in via Donna Prassede, nella periferia sud di Milano. Sono le 19:00 quando Schubert varca la soglia dell’abitazione. Fin da subito tra i due inizia un’accesa discussione. Giovanni lancia accuse, pretende chiarimenti, minaccia di raccontare tutto alla famiglia di Matteo e di umiliarlo pubblicamente. La tensione sale, le parole si fanno sempre più violente.

La discussione prosegue nel garage, dove avrebbero dovuto trovarsi altre opere gestite da Matteo per conto di Schubert. Ma qualcosa si spezza. La situazione degenera. Matteo perde il controllo: spinge Giovanni che cade rovinosamente a terra, battendo la testa. Vedendo l’anziano gallerista immobile, in preda a una sorta di delirio, Matteo continua a colpirlo. Lo massacra.

Ritratto di Matteo Chigorno,  immagine creata con intelligenza artificiale
Naviglio Pavese, immagine creata con intelligenza artificiale
Cucina di Matteo Chigorno,  immagine creata con intelligenza artificiale

Il garage è una scena di sangue. Il corpo di Schubert giace al suolo. Matteo prova a sollevarlo per portarlo via, ma non ci riesce. Il peso, lo shock, l’adrenalina che comincia a calare, tutto si mescola.
In preda al panico, prende una decisione agghiacciante: fare a pezzi il corpo. “In quella follia cera solo lidea di liberarmi di quel corpo. Come se bastasse portarlo via per tornare alla vita di prima”, dirà anni dopo.

Sale in cucina, prende dei coltelli, dei sacchi di plastica e una valigia. Torna nel box e inizia a sezionare il cadavere. Quando ha finito, carica tutto in macchina.
Guida costeggiando il Naviglio, e lì getta i sacchi neri. Continua a vagare nella notte, cercando un luogo dove disfarsi anche della valigia. Trova infine una cascina, e lì si libera dell’ultimo resto di quell’orrore.

Come se niente fosse, Matteo torna a casa e comincia a ripulire ogni traccia.

Nel frattempo, iniziano ad arrivare le prime chiamate. È la figlia di Giovanni Schubert: è preoccupata, il padre non è più rientrato a casa dopo l’incontro con Matteo. Lui è nervoso, ma resta fedele alla sua versione: sostiene di aver salutato Schubert intorno alle 21. Una versione che però non convince affatto Costanza che, insieme al marito, decide di andare di persona a casa di Matteo. Del padre nessuna traccia. Allora lei insiste: vuole vedere il box dove, secondo Matteo, venivano custodite alcune opere.

Matteo la conduce in un garage, ma non è quello in cui è avvenuto il delitto. È un suo secondo box, molto vicino al primo. Costanza inizia a guardarsi intorno. A terra, nota una strana traccia, come di un liquido ripulito frettolosamente.
A quel punto, scatta e grida: “Quello è il sangue di mio padre!”
Non ha prove, solo un istinto feroce. Ma in quel momento non serve altro.

Tuttavia, in quel garage non ci sono elementi evidenti che possano incastrare Matteo. Almeno, non subito.

Alle 05:05 del 4 marzo 2010, il marito di Costanza chiama la centrale operativa dei Carabinieri di Milano per denunciare la scomparsa del suocero. La segnalazione viene presa in carico dalla Squadra Mobile, guidata da Alessandro Giuliano. Dopo poche ore, gli investigatori si presentano alla porta di Matteo Chigorno. Lui nega ogni responsabilità, ripetendo la sua versione. Ma non viene creduto. Viene portato in caserma.

Garage di Matteo Chigorno, immagine creata con intelligenza artificiale Garage di Matteo Chigorno, immagine creata con intelligenza artificiale

Partono gli accertamenti. Un’ispezione accurata dell’abitazione e del garage rivela la verità: vengono rinvenute tracce ematiche in più punti, tra cui all’interno della lavatrice. In un cestino della spazzatura poco distante, viene ritrovato anche il cellulare della vittima, sporco di sangue.

Di fronte a quelle prove, Matteo crolla. Confessa tutto. Racconta ogni dettaglio e indica i luoghi in cui ha abbandonato i resti del corpo.
Il caso è chiuso.

Arriva la condanna all’ergastolo da scontare nel carcere di Bollate. Ma dopo tredici anni, Matteo ottiene un permesso per lavorare fuori dall’istituto, come operaio in un’azienda.

In una dichiarazione recente ha detto:
Non potrò mai ripagare per quello che ho fatto. Come fai a chiedere scusa alla famiglia per le azioni tremende che hai compiuto? Ci ho provato, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo davvero. E poi... non c’è niente che io possa dire affinché loro si sentano meglio.

Nonostante la confessione dettagliata dell’assassino, la figlia di Giovanni Schubert, Costanza, continua a nutrire dei dubbi.

Secondo lei, non si è trattato solo della vendita illecita di tre opere. Sarebbero molte di più le opere scomparse dai magazzini del padre, e Matteo Ghigorno, da solo, non avrebbe mai potuto farle sparire tutte né inscenare un piano così spietato senza alcun aiuto.

Una convinzione che ha cercato di portare anche agli inquirenti, senza mai trovare ascolto.
Per la Procura, quella pista non è mai stata ritenuta credibile. Il caso resta ufficialmente chiuso con la condanna definitiva di Matteo Ghigorno.

Quello che è certo, però, è che con la morte di Schubert, Milano ha perso una figura chiave della sua scena culturale. Un uomo elegante, riservato, capace di leggere le dinamiche complesse dell’arte contemporanea con intuito e competenza. Un collezionista attento, un appassionato vero, un rappresentante di quella borghesia milanese che ha saputo investire nella cultura con visione.
Un talento raro nel riconoscere, prima degli altri, gli artisti destinati a diventare maestri.

Immagine di copertina: Giovanni Schubert e Matteo Chigorno, ritratto creato con intelligenza artificiale

Alessio Vigni, nato nel 1994. Progetta, cura, scrive e si occupa di arte e cultura contemporanea.


Collabora con importanti musei, fiere d'arte, organizzazioni artistiche ed è consulente esterno della Fondazione Imago Mundi (Treviso). Come curatore indipendente, lavora principalmente con artisti emergenti. Recentemente ha curato SNITCH Vol.2 (Verona, 2024), Dialoghi empatici (Milano, 2024) e la mostra SNITCH (Bologna, 2023). La sua pratica curatoriale indaga il rapporto tra il corpo umano e le relazioni sociali dell'uomo contemporaneo.


Scrive per diverse riviste specializzate ed è autore di cataloghi d'arte e podcast. Per Psicografici Editore è coautore di SNITCH. Dentro la trappola (Roma, 2023). Dal 2024 è membro dell'Advisory Board di (un)fair.

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