La festa prima della fine
Mercato dell’arte 2024, una storia di tutti noi: quando l'orchestra non smette di suonare, mentre il Titanic affonda. Ci sono delle soluzioni?
Dire che il mercato dell’arte nel 2024 è in crisi è come dire che sul Titanic c'era un rubinetto che perdeva.
E credetemi, non c’è momento dell’anno migliore per provare a fare il punto su arte e mercato.
Si è concluso in questi giorni il fitto semestre di aste e fiere, i galleristi sono già al mare (quelli ricchi) e non resta che tirare i bilanci per capire come si potrà concludere il 2024.
Spoiler: non bene.
I principali report sul mercato dell’arte sono stati pubblicati e, anche se afferiscono al 2023, sono una previsione premonitrice abbastanza precisa sul futuro prossimo che abbiamo vissuto e che vivremo.
L’economia globale è in difficoltà, non lo dice il mercato dell’arte, lo vediamo noi monitorando i pregiati brand del lusso internazionale che sono sotto, quando va bene, del 20%.
L’arte segue fedelmente, anche se con un certo ritardo, l’economia tradizionale. Le motivazioni le conosciamo bene: inflazione crescente, rialzo dei tassi d’interesse, instabilità politica internazionale. Così la frittata è servita.
Dunque vediamo fatturati in calo per le case d’asta un po’ dappertutto, da New York a Hong Kong, fino ad arrivare ai dati più sinistri, quelli delle gallerie che alle fiere di cartello non ci pagano manco più lo stand, o quelli degli artisti, ultimo anello della catena della produzione (anche se dovrebbe essere il primo e germinale) che si trovano ancora una volta a fare i conti con la banca.
Ok, ma come fai a dire che le cose stiano effettivamente così?
Principalmente leggo il report di Art Basel e UBS, redatto da Clare Mc Andrew di Arts Economics. L’ho conosciuta tanti anni fa a Maastricht, è una donna irlandese decisa e alta quasi come me (io sono 1.94), di quelle con una stretta di mano che non lascia dubbi alle interpretazioni. Così il suo report. Non ho mai trovato una persona così preparata e con un team così preciso nel fare il lavoro del “commercialista dell’arte”. In parole povere, lei prende tutti i dati pubblici disponibili (le aste, in tutto il globo), e a seguire svolge una fitta attività statistica a campione con fiere e gallerie. Mette tutto in pentola e alla fine scola la pasta. Non sarà preciso al dettaglio, ma è il sistema più approssimato possibile alla situazione reale.
Qualche numero dal suo report: “dopo due anni di crescita, nel 2023 le vendite del mercato dell’arte hanno subito un calo del 4% rispetto all’anno precedente, per un valore stimato di 65 miliardi di dollari. A risentirne è soprattutto la fascia più alta del mercato, sia per quanto riguarda le gallerie che le case d’asta. Queste ultime sono quelle che hanno registrato un calo maggiore, del 7%, rispetto ai galleristi, che hanno segnato un calo del 3%. Sebbene diminuiti rispetto all’anno precedente, i valori sono comunque rimasti al di sopra del livello pre-pandemia (2019), per un totale di 64,4 miliardi di dollari, nonostante il prezzo massimo pagato in asta pubblica quest’anno sia sceso del 16% rispetto all’anno precedente".
Non tutto è perduto però. Clare scrive: “Dopo due anni di crescita, le vendite nel mercato dell’arte sono diminuite, in parte a causa del rallentamento del fatturato nella fascia alta del mercato. Siamo rimasti al di sopra dei livelli pre-pandemia, grazie in parte alla continua crescita delle vendite online che rappresentano il 18% del fatturato, quasi il doppio dei livelli pre-pandemia. Innovazioni digitali per visualizzare e acquistare opere d'arte attraverso strumenti basati sul Web e cellulari, nonché coinvolgimento di gallerie, case d’asta, commercianti e collezionisti, sono in aumento. Il mercato cinese si è ripreso, in controtendenza, rispetto alla tendenza generale, e ha spodestato il Regno Unito come secondo mercato più grande. L’attività è aumentata quando gli acquirenti post-lockdown hanno recuperato le scorte d’asta arretrate e mentre le principali fiere ed esposizioni di Hong Kong tornavano alla programmazione su vasta scala. La resilienza rimane il sentimento dominante. La forza dei mercati finanziari, il previsto calo dei tassi di interesse e l’indebolimento dell’inflazione offrono speranza. Numeri significativi di nuovi e giovani collezionisti ambiziosi che stanno entrando nel mercato, offrono speranza soprattutto in Cina, formando una pipeline di affari per rivenditori e galleristi.”
Voi capite, tutto quello che è scritto nelle oltre 250 pagine del report ormai è trapassato remoto. La Cina si è arenata nuovamente e gli Stati Uniti sono alle prese con la nuova tornata elettorale. È vero, la Cina nel 2023 è diventata il secondo mercato globale dell’arte, con una quota ad oggi del 19% per un totale di $12.2 miliardi. Tuttavia, il relativo aumento che l’ha portata al secondo posto potrebbe essere stato il risultato di un insieme unico ed irreplicabile di fattori legati alla riapertura dopo le severe e prolungate chiusure per pandemia, che hanno comportato un accumulo di materiale sul mercato per tre anni. E poi vi invito ad andare a fare business in Cina, non proprio una passeggiata.
L’Europa è la cenerentola del mondo dell’arte. UK e mercato non vanno più a braccetto post Brexit, mentre Parigi si appresta a divenire il nuovo hub del mercato locale (ospiterà anche la nuova Art Basel Paris a Ottobre, che ha preso il posto di Paris+). L’Italia rappresenta l’1% di tutto il mercato globale, meglio di niente.
Come funziona dunque quando il capitano del Titanic ordina ai marinai di calare le scialuppe?
Clare ci scrive: “Il rallentamento del mercato si è tradotto, nella maggior parte dei casi, in un accentramento dal punto di vista qualitativo, con un’attenuazione degli acquisti speculativi più frenetici e una maggiore attenzione al valore e alla qualità da parte dei collezionisti.
Questo ha portato a una concentrazione delle vendite intorno agli artisti di punta: diverse gallerie hanno riportato che un terzo delle loro vendite nel 2023 proveniva dal singolo artista che aveva registrato il maggior numero di vendite.
Ciò ha generato una tendenza al “giocare sicuro” da parte dei collezionisti e, di conseguenza, anche da parte dei galleristi, come evidenziato dall’appiattimento generale dei programmi e dalla predominanza della pittura nei principali centri artistici e nelle ultime fiere.”
In soldoni, questo accade: le grandi gallerie, come le grandi case d’asta, devono gioco forza andare sul sicuro, offrendo soltanto le primizie che sono unanimemente riconosciute come valuta corrente. Il resto, aspetta in magazzino.
Qui a Spaghetti Boost ci siamo chiesti tante volte nelle nostre telefonate di redazione se esistano soluzioni profittevoli per tutti coloro che non appartengono al mercato delle blue chips.
Vi lancio allora una provocazione: pensiamo alla Maison Du Monde e all’IKEA. Offrono edizioni di opere d’arte a prezzi che vanno dai 50 fino agli 800 euro. E le vendono, altrimenti sarebbero finite fuori catalogo. Provate a pensare adesso ai prezzi dei giovani artisti che propongono le gallerie di casa nostra, quelli con coefficiente. Siamo serenamente tra i 1500 e i 6000 euro di media.
Queste cifre, evidentemente, non sono più compatibili con la fascia media della popolazione, che ragionevolmente arreda casa all’IKEA. Non sto dicendo che tutti gli artisti debbano abbassare i loro prezzi per lavorare, ma che forse, un listino più contenuto e delle strategie più forti, che ad esempio non escludono le partnership con i brand, potrebbero essere comunque meglio di niente.
O no?
Vi aspetto nei commenti su Instagram.
Immagine di copertina: Clare Mc Andrew, Arts Economics.
Giacomo Nicolella Maschietti è un giornalista professionista specializzato in arte e mercato. Scrive per diverse testate di settore e dal 2008 conduce “Top Lot” su ClassCNBC (SKY 507). Su Spaghetti Boost racconterà il sistema dell'arte da una prospettiva non ortodossa, ospitando mostre e artisti che testimoniano la contemporaneità.