La nuova mostra di Filippo Berta “Liminal” in Cina

Una riflessione artistica potente su confini, identità e collettività al Wu Space di Shenyang

15.07.25

Un progetto espositivo al Wu Space di Shenyang che indaga il concetto di confine tra identità, società e autorialità, attraverso performance partecipative e opere corali.

La prima volta che ho sentito la parola latina limes è stata al liceo classico. Probabilmente stavamo affrontando una versione di latino su qualche momento epico dell’esercito romano, intento a spingere sempre più avanti il confine del proprio impero. I limes erano vie fortificate, tracciate per rispondere alle esigenze logistiche dell’esercito durante le campagne militari. Forse le prime vere linee di demarcazione costruite per separare “due Paesi”, per segnare le differenze tra un luogo e l’altro, tra un popolo e l’altro.

Mi ha sempre affascinato il concetto di confine, perché contiene in sé una contraddizione profonda, capace di mettere in discussione l’idea stessa di limite.
Se da un lato il confine — ad esempio tra due Stati — evidenzia le differenze tra culture, tra donne e uomini con usanze diverse, dall’altro stabilisce anche i limiti di chi quel confine lo traccia. “Questo è il mio limite, oltre questo non vado.” Il confine rafforza l’identità, ma allo stesso tempo rivela la fragilità di ogni essere umano, mostrando quanto siano varie e complesse le forme di separazione.

Filippo Berta, Liminal, a cura di Lu Zhao e Angel Moya Garcia, Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina Filippo Berta, Liminal, a cura di Lu Zhao e Angel Moya Garcia, Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina

In tempi come questi, il confine diventa uno strumento (folle) per tentare di creare equilibri tra comunità diverse. Paesi, governi, azioni politiche e campagne d’odio cercano di tracciare divisioni tra un “noi” e un “loro”, nel tentativo di sostenere concetti anacronistici e conservatori — come se volessero arginare il naturale movimento centripeto che oggi caratterizza le società globali.

Trovo tutto ciò profondamente ironico, quasi quanto i goffi e maldestri tentativi dei partiti di destra di contrapporre e fomentare due schieramenti netti e separati. Esempi che oggi possono far paura, ma che sono destinati a fallire nel corso degli anni.

Proprio per questi tremendi episodi che vediamo ogni giorno - scrivo volontariamente vediamo e non viviamo proprio perché non sono né a Gaza, né in Ucraina, o in qualche altro Paese sorpreso da guerre civili o violenze di qualche genere - oggi vi voglio parlare della mostra del noto artista Filippo Berta, Liminal, a cura di Lu Zhao e Angel Moya Garcia, al Wu Space di Shenyang, in Cina.

La mostra offre una panoramica su uno degli artisti più interessanti della scena italiana contemporanea. Di Filippo Berta colpisce la scelta consapevole di non seguire regole prestabilite, di non conformarsi alle aspettative e di accettare che perfezione e somiglianza non siano necessariamente condizioni del vivere sociale. Anche con questa esposizione, l’artista riesce a porre domande che ci modellano e ci ispirano come individui, come culture e come collettività, in un mondo in continua trasformazione.

Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina
Logo Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina
Filippo Berta, Liminal, a cura di Lu Zhao e Angel Moya Garcia, Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina
Filippo Berta, Liminal, a cura di Lu Zhao e Angel Moya Garcia, Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina
Filippo Berta, Liminal, a cura di Lu Zhao e Angel Moya Garcia, Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina
Filippo Berta, Liminal, a cura di Lu Zhao e Angel Moya Garcia, Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina
Filippo Berta, Liminal, a cura di Lu Zhao e Angel Moya Garcia, Wu Space of Contemporary Art, Shenyang, provincia del Liaoning, Cina

In questo senso, la mostra si sviluppa come una coreografia circolare, articolata in quattro atti: declinazioni diverse di un’unica urgenza.

Tra questi, troviamo il confine intimo nel lavoro One by One (2021), vincitore della V edizione del bando Italian Council (2019). Tra il 2019 e il 2020, Filippo Berta ha attraversato l’Europa orientale (Ungheria, Serbia, Slovenia, Croazia, Turchia, Macedonia del Nord, Grecia, Bulgaria), per poi spingersi in America (Stati Uniti e Messico) e infine in Asia (Corea del Sud), realizzando riprese video e azioni partecipative con il coinvolgimento diretto degli abitanti delle aree di frontiera.

A ciascuno è stato chiesto di contare ad alta voce — nella propria lingua — le spine dei fili di recinzione. Un’azione al tempo stesso rituale e solitaria, utopica e immaginifica, simbolica e pericolosa, che prende forma attraverso la gestualità delle mani, nell’atto di indicare ogni singola spina, e il suono della voce che recita il conteggio come in una preghiera intima.

L’installazione si compone anche di una cacofonia di lingue che, attraverso parole e suoni, si fondono in un conteggio corale: un coro dissonante che si fa portatore di storie, memorie e drammi.

Il secondo atto è dedicato al confine sociale, rappresentato da tre opere: Livello 0 (2019), Déjà Vu (2008) e Sulla retta via (2014). In questa sezione si indaga la difficoltà di mantenere una linea perfetta e netta, simbolo del (vano) tentativo dell’essere umano di trovare un equilibrio tra la propria natura intuitiva, emotiva, impetuosa, e il ruolo che la società gli assegna. Un ruolo che penetra le coscienze individuali e condiziona i comportamenti, guidando il soggetto verso modelli standardizzati.

Il terzo atto si concentra invece sul confine autoriale, uno degli elementi più ricorrenti nella pratica di Filippo Berta. A questo è dedicata una selezione di sei video tratti dalle sue performance collettive, partecipative e delegate. In queste opere, ideatore e performer, pubblico e partecipanti, osservato e osservatore si confondono, si sostituiscono, si intrecciano in una rete di relazioni senza soluzione di continuità.

Nei video emerge chiaramente la rinuncia dell’artista al controllo dell’opera: ogni azione, ogni processo, ogni esito è affidato agli altri. Berta si limita a concepire un inizio e un possibile sviluppo, per poi delegare e abbandonare qualsiasi pretesa di controllo. Un gesto radicale, che oltrepassa il confine autoriale e lo trasforma da creatore a spettatore.

Filippo Berta, Come polvere nel vento, 2024
Filippo Berta, Come polvere nel vento, 2024
Filippo Berta, Come polvere nel vento, 2024
Filippo Berta, Come polvere nel vento, 2024
Filippo Berta, Come polvere nel vento, 2024

L’ultimo atto affronta il confine esistenziale, attraverso una selezione di fotografie e due video in cui l’indole riflessiva, intellettuale e meditativa dell’essere umano emerge tramite elementi semiotici e fenomenologici, in un’indagine profondamente interdisciplinare.
È qui che si incontra uno dei lavori di Berta che preferisco: Come polvere nel vento (2024), un video in cui una barca solca un deserto d’acqua senza una meta precisa, come una bussola che ha perso il suo orientamento. I semi d’orzo trasportati dall’imbarcazione diventano metafora degli esseri umani: alcuni si perderanno, altri troveranno un luogo in cui germogliare.
Come polvere trasportata dal vento, la nostra identità può restare sospesa, in attesa di un terreno fertile in cui manifestarsi.
Berta riflette sull’identità come una condizione in divenire, una potenzialità ancora indefinita. Il moto circolare della barca rappresenta così la ricerca incessante di una via, un tentativo di fuga che non sempre conduce a una destinazione.

Liminal è il racconto di quindici anni di lavoro in cui l’artista costruisce opere corali che incidono, interrogano e ridefiniscono il concetto stesso di limite. Una mostra (dannatamente) attuale, in un presente in cui l’omologazione sociale e la condanna delle differenze sembrano essere le politiche più adottate. Un progetto coraggioso, fondato su una ricerca ossessiva e ostinata sul ruolo e la responsabilità di ogni singolo individuo nella costruzione della propria comunità.

Per i più fortunati che in questa calda estate hanno in programma un viaggio in Cina, la mostra sarà visitabile fino al 28 luglio.

Immagine di copertina: Filippo Berta, Polvere.

Alessio Vigni, nato nel 1994. Progetta, cura, scrive e si occupa di arte e cultura contemporanea.


Collabora con importanti musei, fiere d'arte, organizzazioni artistiche. Come curatore indipendente, lavora principalmente con artisti emergenti. Recentemente ha curato "Warm waters" (Roma, 2025), "SNITCH Vol.2" (Verona, 2024)e la mostra "Dialoghi empatici" (Milano, 2024). La sua pratica curatoriale indaga il rapporto tra il corpo umano e le relazioni sociali dell'uomo contemporaneo.


Scrive per diverse riviste specializzate ed è autore di cataloghi d'arte e podcast. Per Psicografici Editore è coautore di SNITCH. Dentro la trappola (Roma, 2023). Dal 2024 è membro dell'Advisory Board di (un)fair.

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