
Manos.Manos.Manos. Un collettivo con connessioni globali e nuove forme di comunicazione
Scopriamo il collettivo artistico che crea connessioni tra luoghi, persone e idee, ridefinendo il ruolo dell’artista e il significato della condivisione.
Enigmatico, complesso, inclusivo, vario, intellettuale. Gli aggettivi per descrivere la realtà di Manos.Manos.Manos. possono essere molti, come molte sono le sue sfaccettature. L’apparenza, si vedrà, sembra essere molto più complessa della realtà, ma questo fa parte del gioco. Le acque confuse che scorrono davanti agli occhi di chi, per la prima volta, si imbatte in questo progetto, si quietano lentamente aprendosi a una moltitudine di domande aperte e, allo stesso tempo, svelando, forse, solo quella che è la sua vera essenza: non c’è arte senza compartecipazione.
Manos. è un progetto co-curatoriale guidato dall'artista italiano Andrea Istvan Franzini, che lavora sotto il titolo collettivo Manos.Manos.Manos, originariamente nato come ampliamento di un altro progetto artistico collettivo, "Platform for Shared Praxis", dell'artista australiano e residente a Tokyo Jesse Hogan.
Gli artisti si sono incontrati per la prima volta a Milano nel 2020. Da un primo scambio di contatti è nata poi una discussione su possibili collaborazioni da attuare tra Sydney, Milano e Tokyo, fino alla messa in opera definitiva di questa intuizione, nel 2023, quando Andrea Istvan Franzini viene invitato a esporre alla Sydney Edition 'Cloud & Toe' presso la KNULP Gallery nel 2023.
Nei successivi due anni, fino a oggi, le strade di Manos/Andrea e Platform for Shared Praxis/Jesse Hogan hanno delineato il loro percorso producendo e curando diverse mostre, come ESCAPE STRATEGIES a Milano (2024), DOUBLE FICTIONS a Tokyo (2024), PORTS, AIR, FOR, MUSIC sempre a Tokyo nel 2024 e, nell’aprile 2025, u.f.f.u. utopia feeling feeding utopia in differenti location della capitale giapponese in collaborazione con il curatore Ryota Kawaguchi di {}(Cacco Tokyo).

Le realtà alla base di questa triangolazione sono tutte accomunate dagli stessi intenti: la creazione di un sistema di dialogo artistico volto alla collaborazione e allo scambio di idee, in continua evoluzione e nutrimento. Nello specifico, Shared.Praxis “mira a costruire migliori relazioni sociali massimizzando le relazioni contestuali dell'arte, la connessione e, in un certo senso, il valore sociale dell'arte, utilizzando le mostre come piattaforma per dialoghi internazionali di scambio artistico”, mentre il collettivo {}(Cacco Tokyo) “pratica la formazione di una nuova famiglia" basata sul tema dell'anonimato e della conoscenza collettiva attraverso i social media, da parte di un numero imprecisato di membri. La scelta della licenza cc (Creative Commons License) come logo mira principalmente a rendere open source le regole, i manierismi e la grammatica dell'arte contemporanea”.
Partendo da questo sguardo comune, le collettive realizzate, hanno non solo messo in crisi il riconoscimento degli attori coinvolti, ma anche l’approccio e la percezione dell’oggetto artistico stesso.
Nelle note curatoriali della mostra appena inaugurata, u.f.f.u. utopia feeling feeding utopia si discute, a partire dal saggio di Michael Fried Arte e oggettualità, della sottile linea di confine che divide i concetti di Present e Presentness, ponendo delle domande ben precise: “Mettiamo in discussione l'ottica della presenza visiva. Stai vedendo qualcosa di più di ciò che sto vedendo io? Possiamo far sì che, sia il vedere, che il sentire siano ugualmente sentiti? Sebbene sia un prodotto del mio vedere, il senso di presenza dello spazio, ovvero lo spazio in cui si avverte una presenza, quasi come un'entità, è contingentemente quella sensazione fisica e il potere che lo spazio può dare? Il presente, d'altra parte, è senza tempo? È trascendente e al di là del quotidiano, la consegna di quell'istante?”.
In Double Fictions. The ‘Double Reality of Things (2024), una mostra collettiva internazionale che ha visto coinvolti, oltre a Jesse Hogan e Andrea Istvan Franzini, altri sette artisti di diversa provenienza e generazione, l’oggetto di indagine era “lo slittamento di realtà e significato che si verifica quando gli artisti creano molteplici riproduzioni e copie di oggetti. […]Una "Doppia Finzione" richiama qui (l'ipotesi) che la stessa storia raccontata due volte darà luogo a due versioni/scenari distinti e, quindi, a due verità diverse. Un viaggio dal reale al falso e ritorno”.
PORTS, AIR, FOR, MUSIC ha coinvolto, invece, gli artisti Nataliya Chernakova, Robin Waart, Marco Strappato, Andrea Istvan Franzini, Shuto Mizukami, Aoi Michimae in una mostra collettiva che ha portato a “fluttuare” tra significati e insensatezze. Il titolo della collettiva è l’accostamento di quattro parole pescate a caso da una conversazione tra Andrea Istvan Franzini e Aoi Michimae di {}(Cacco Tokyo) dalle quali si scaturisce una reazione a catena di termini o formulazioni apparentemente prive di senso. Qui viene definita la “comunicazione da insetto”, ovvero un insieme di tutte quelle "piccole interpretazioni errate", non da intendersi però come elemento divisivo, ma, come ha detto Andrea Istvan Franzini “come una multi centralità che, in un periodo così diviso fatto di guerre, credo sia fondamentale da recuperare”.

Studiando questo breve, ma intenso percorso, si ha proprio la sensazione di avere a che fare con un movimento per la costruzione di una comunità, nella quale l’arte si fa insieme, unendo le proprie forze e “togliendo una dimensione di ego di livelli tra artisti più gradi e piccoli”, per citare Franzini, che continua affermando: “Proprio l'altro giorno stavo pensando alle costellazioni, a come l'umanità, fin dalla notte dei tempi, abbia sentito il bisogno di collegare gruppi di stelle con linee immaginarie, invisibili nel cielo notturno, dando loro forme, nomi e simboli. Forse non è un caso che i processi cerebrali alla base della percezione funzionino allo stesso modo: ogni volta che ci troviamo di fronte a qualcosa di sconosciuto, qualcosa mai sperimentato prima, i dati grezzi che fluiscono dalla nostra rete sensoriale al cervello sono collegati alla ricchezza di esperienze precedenti, alla memoria di tutti i fenomeni, alle costellazioni di persone, luoghi e oggetti che abbiamo incontrato in passato.
Solo in questo modo, confrontando gli stimoli sensoriali con l'esperienza consolidata, possiamo dare un nome alle cose, immaginare come un luogo, una persona o un oggetto siano connessi a tutto il resto.
Il lavoro dell'artista si fonda su questi stessi principi: rendere visibile l'invisibile, suggerire, evocare, rivelare la sottile rete di connessioni che lega eventi, persone e luoghi attraverso lo spazio e il tempo.
In questi processi, c'è poco spazio per i fatti grezzi, per le tecnologie, per l'attaccamento o la familiarità con gli strumenti espressivi e i desideri personali. Ciò che è necessario è andare al cuore della questione, raggiungere le pulsioni istintive che caratterizzano l'umanità e che apparentemente la governano. Dobbiamo continuare a porci domande che sembrano non avere risposta, a cercare il vero significato della nostra esistenza, a calpestare il campo di gioco dei filosofi e degli uomini di fede, cercando, se possibile, nuove prospettive da cui osservare”
Da qui si capisce perché il nome Manos, che non è solo un modo per definire “più mani”, ma l’abbreviazione dello spagnolo “fratelli”.
Immagine di copertina: Veduta dell'installazione, Oggetti, Smalto, Gesso, Pigmenti su Perspex, uova, acqua, Carta, Fotografie, Luce, Riflessi, Lino, Legno, Pannelli, Cavalli, Cycas, Parti, fotografia di Kisshomaru Shimamura
Gaia Badioni (1986) muove i suoi primi passi nel settore dell’arte lavorando per un decennio all’interno di prestigiose istituzioni milanesi dedicate al contemporaneo - tra le quali Pirelli HangarBicocca e Fondazione Prada - ricoprendo per esse diversi ruoli.
Da sempre abituata a osservare, ascoltare, sentire e vivere l' Arte in tutte le sue forme, decide poi di raccontare mediante la scrittura le sue esperienze affiancando al lavoro museale, a partire dal 2013, quello di contributor per diverse riviste di settore come Inside Art, Telescope di Lara Facco, Rivista Studio, the Walkman Magazine, D’Ars Magazine, Juliet Art Magazine, attività che mantiene viva ancora oggi.
La sua formazione è continua. Tra le esperienze più significative si citano il corso “Literary Social Media Content Creator per i musei d’arte contemporanea” al Castello di Rivoli a cura di Gianluigi Ricuperati; “September Book”, workshop di editoria d’arte presso Fondazione ICA di Milano; “Fare Arte”, residenza presso La Scuola di Palazzo Te (Mantova), con Stefano Arienti, Mariangela Gualtieri e Stefano Baia Curioni. È attualmente laureanda in Editoria e Comunicazione Visiva e Digitale presso l’Università degli studi di Bergamo.