
Mario Giacomelli: l’Arte oltre la Fotografia in Mostra a Roma
Palazzo delle Esposizioni celebra il centenario di Giacomelli con oltre 300 opere, in dialogo con artisti come Burri, Kounellis e Ballen.
In occasione del centenario della nascita di Mario Giacomelli, uno dei maggiori fotografi del secolo scorso, l'Archivio Giacomelli ha promosso una serie di iniziative volte a celebrarne l’eredità artistica e culturale. Il cuore delle celebrazioni è un importante progetto espositivo che si svolge simultaneamente a Roma, presso Palazzo Esposizioni, e a Milano, a Palazzo Reale, offrendo due percorsi speculari.
La mostra a Palazzo Esposizioni di Roma, curata da Bartolomeo Pietromarchi e Katiuscia Biondi Giacomelli, propone una vasta selezione dell'intera opera fotografica di Giacomelli, dimostrando la straordinaria capacità con la quale l’autore ha attraversato e contaminato diverse discipline artistiche. Sono in mostra oltre 300 stampe originali, molte delle quali inedite e mai esposte. Il focus è sulle relazioni tra l'opera di Giacomelli e le arti visive contemporanee, con l'esposizione, lungo il percorso espositivo, di lavori di Afro (Afro Basaldella), Roger Ballen, Alberto Burri, Enzo Cucchi, Jannis Kounellis che dialogano con la poetica e la visione del fotografo.

Si parte da un confronto con le opere pittoriche e grafiche di Afro e Alberto Burri, che esplorano il rapporto tra astrazione e materia. Nelle sperimentazioni di Giacomelli sulla superficie fotografica riecheggiano le ricerche materiche, alchemiche e pittoriche di Afro e Burri, in una comune indagine sulla densità del nero e del bianco, sul contrasto e sul segno.
Profondamente attratto dall’arte di Afro e legato da un rapporto di amicizia con Burri, Giacomelli trovò nell’arte un costante punto di riferimento, visibile nelle sue sperimentazioni, soprattutto in camera oscura. In mostra sono presenti le sue celebri serie paesaggistiche (dagli anni ‘50 al 2000), Motivo suggerito dal taglio dell’albero (1966/1968), Territorio del linguaggio (1994) e Bando (1997/1999).
Un altro rilevante e inedito dialogo si sviluppa attorno al tema del realismo, attraverso il confronto con l’opera di Jannis Kounellis. In questa sezione sono esposte le serie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1966/1968), E io ti vidi fanciulla (1993/1994), Lourdes (1957) e Mattatoio (1960). La dichiarata vicinanza di Giacomelli al protagonista dell’Arte Povera emerge non solo nella scelta dei soggetti, ma anche nella sensibilità estetica condivisa, fatta di riferimenti alla cultura contadina, alla materia e a una visione artistica fortemente improntata al realismo.
In questi serrati dialoghi tra l'autore e gli altri artisti; coinvolge visivamente l'affinità elettiva con Roger Ballen, che ha più volte dichiarato la sua ammirazione e il suo debito artistico nei confronti di Giacomelli. Il confronto si sviluppa attorno alle ultime opere del maestro marchigiano, tra cui Questo ricordo lo vorrei raccontare (2000), La domenica prima (2000), Astratte (’90) e Per poesie (ferri e lenzuola) (‘60/’90), in un intenso scambio tra linguaggi e sensibilità artistiche.
In occasione di queste celebrazioni ho avuto l'occasione di approfondire con Katiuscia Biondi Giacomelli, co-curatrice con Bartolomeo Pietromarchi, le due grandi mostre presso Palazzo delle Esposizioni a Roma e Palazzo Reale a Milano.
Cosa caratterizza la mostra di Mario Giacomelli a Palazzo delle Esposizioni?
«La mostra a Palazzo delle Esposizioni rappresenta uno sguardo inedito su Mario Giacomelli, un focus sul suo essere un fotografo al di là delle regole della fotografia. Lui stesso non amava definirsi “fotografo”, a dire il vero era restio a ogni tipo di definizione, tant’è che la sua arte pur partendo dalla fotografia mostra quanto il reale sia non oggettivo ma al contrario necessariamente formato dallo sguardo di chi lo osserva. La sua fotografia è evocativa e non descrittiva, le sue opere sono pezzi di reale che “respirano”, per usare le parole di Giacomelli stesso, frammenti di vissuto, di memoria, simboli e segni trattati come farebbe un pittore: materia in metamorfosi a cui far assumere di volta in volta forme diverse, in nome di una visione ultima, a cui ogni singola forma e ogni fotografia sottostà, per dare voce all’immaginario inconscio dell’artista nella sua riflessione continua sulla vita. La fotografia di Giacomelli è racconto, che narra con il linguaggio del sogno e della poesia. Il lavoro in camera oscura nel modus operandi di Giacomelli è importantissimo, momento in cui l’artista, con la sua gestualità e le sue sperimentazioni, dà alla realtà l’aspetto della sua interiorità, perché per Giacomelli la fotografia è lo specchio in cui la sua anima si può riflettere e riconoscere. Ma le immagini di Giacomelli non parlano solo di lui (la valenza performativa delle opere della maturità ci mostrano quanto vita e arte siano collegate in lui, in una fotografia che parte sempre da fatti autobiografici, da esperienze personali), ma ci parlano infine dell’Uomo, parlano di ognuno di noi, perché il suo linguaggio è universale e vero. La mostra di Roma, così come a modo suo quella di Milano, mette in scena tutto questo».
L’esposizione prevede un dialogo anche con altri artisti, può parlarcene?
«L’idea era di mostrare quanto Giacomelli sia stato un fotografo fuori dagli schemi, nell’atteggiamento più vicino all’arte che alla fotografia “pura”. L’esposizione mette in dialogo l’opera di Giacomelli con alcune opere di grandi artisti con cui il fotografo ha sempre mantenuto un legame, sia per vicinanza concettuale sia, in alcuni casi come con Alberto Burri e Enzo Cucchi, per un sentimento di amicizia. In mostra, le sue opere fotografiche si accordano all’unisono con le opere pittoriche di Afro e di Alberto Burri: Giacomelli era un artista Informale nel suo modo di approcciarsi alla fotografia e producendo egli stesso (negli anni sessanta e settanta) opere pittoriche di stampo astratto e materico, di cui in mostra è esposto un esemplare; ma anche vicino all’Arte Povera, nel sentire la materia come simulacro di memorie, per cui le fotografie dalle serie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Lourdes, Mattatoio, Favola verso possibili significati interiori, si sintonizzano con potenza e poesia con l’installazione di Jannis Kounellis».
«La sua visione del corpus fotografico come sistema organico che riorganizza il mondo in uno spazio ancestrale fatto di simboli e stratificazioni temporali, lo avvicina al conterraneo Enzo Cucchi: il loro dialogo ci illumina sul mistero della vita».
«L’atteggiamento performativo della produzione giacomelliana della maturità, in cui il fotografo diviene attore e regista di storie intime e autobiografiche, nella sua instancabile riflessione sulla vita e sulla morte, trova un contraltare interessante nella fotografia di Roger Ballen, che ha sempre ammesso di trovare ispirazione dall’arte e dalla visionarietà di Mario Giacomelli. La mostra romana è un intenso viaggio visionario che non può che lasciare sorpreso lo spettatore. Apre questo percorso una sala immersiva in cui le immagini fotografiche di Giacomelli seguono le sue parole, piccoli e intensi frammenti di sue riflessioni sulla fotografia; chiude il percorso la riproduzione della camera oscura, con la presenza della mitica macchina fotografica Kobell da cui l’artista non si separò mai in cinquant’anni di produzione e l’ingranditore della sua camera oscura, simboli della sua creatività. Ma questa non si manifestava solo in postproduzione, iniziava già in fase di ripresa e a testimoniare la sua gestualità nel rituale fotografico, otto grandi teche raccolgono centinaia di provini, una sorta di backstage delle sedute fotografiche per l’ultima serie composta prima della morte, Questo ricordo lo vorrei raccontare (le cui opere sono esposte nell’ultima sala in mostra)».

Indimenticabile la serie Io non ho mani che mi accarezzino il volto (1961-1963), che, nei primi anni Sessanta, ha consacrato Mario Giacomelli sulla scena internazionale. Qui è stata concepita come una vera e propria installazione site specific. Puoi parlarci dell’allestimento?
«Con Bartolomeo Pietromarchi, abbiamo pensato di mettere in scena il movimento circolare dei girotondi dei giovani seminaristi della celebre serie ispirata ai versi di Padre Turoldo, nella poesia Io non ho mani. Con un allestimento che si muove tra verticalizzazioni e moti trasversali, tra vuoti e snodi dinamici, volevamo restituire il carattere cinematografico della serie e l’idea di Giacomelli: i “pretini”, queste macchie nere che emergono da un bianco mangiato, ridotte a sagome in movimento, sono come “uccelli che si liberano in cielo”: le fotografie di Io non ho mani che mi accarezzino il volto sono una sorta di rappresentazione della libertà».
Può raccontarci un ricordo inedito di Giacomelli?
«Me lo ricordo per la sua giocosità, quando mi vedeva canticchiava sempre una canzone che aveva dedicato proprio a me (“Signorinella pallida” di Carlo Buti, perché lui era sempre così abbronzato, mentre io così pallida!), sempre quella canzone, accennando a lievi movimenti del corpo e con un’espressione teatrale in volto, uno dei suoi tanti rituali con cui aveva costruito l’impalcatura del nostro relazionarci. Ma lo ricordo anche per il suo essere al di là di ogni schema, incurante del giudizio, sempre concentrato, ad assaporare le più piccole cose, per provare ogni giorno la meraviglia di trovarsi presente a sé stesso, di fronte al mondo».
Immagine di copertina: Fotografia della mostra, Mario Giacomelli. Il fotografo e l'artista, Palazzo Esposizioni Roma, Roma
Camilla Boemio è curatrice, scrittrice e consulente universitaria, con un focus sui sistemi interdisciplinari e una prospettiva femminista internazionale. È stata curatrice di progetti come Pera + Flora + Fauna alla Biennale di Venezia nel 2022 e mostre come TEN YEARS: BSR People 14-24 alla British School at Rome e The Bouvet Island al Museo Nazionale Etrusco.
Co-fondatrice della piattaforma non profit AAC Platform, ha lavorato su progetti europei innovativi con l'Università Politecnica delle Marche. Nel 2022 ha curato Segno Aperto di Bruno Lisi e Expanded Cinema con Ben River e Mathew Emmett.
Camilla ha partecipato a importanti eventi internazionali, come il padiglione nigeriano alla Biennale di Venezia nel 2016, e ha curato il libro The Edge of Equilibrium nel 2021, presentato a fiere come Artissima e Roma Arte In Nuvola.