
Nkumbu Mutambo e la moda speculativa africana
Il metodo radicale di Nkumbu Mutambo nella Zambezia: un viaggio tra identità, design archivistico, patrimonio e immaginari radicali della moda africana.
Il lavoro di Nkumbu Mutambo come designer, ricercatrice e artista attraversa il terreno complesso tra abbigliamento, memoria, identità e patrimonio culturale. Con una pratica che spazia tra design speculativo, ricerca d’archivio e indagine comunitaria, Mutambo interroga il modo in cui la moda possa fungere da linguaggio sia personale che politico. La sua ricerca di dottorato presso la Northumbria University ha esaminato il ruolo e il significato del patrimonio per i designer di moda zambiani, esplorando come il passato venga riformulato, rivisitato e reimmaginato attraverso il design e la pratica corporea. Uno dei risultati chiave del suo studio è la mutabilità della memoria individuale e collettiva—come i designer negozino continuamente le proprie narrazioni personali e nazionali in un processo costante di auto-definizione ed espressione culturale.
Il lavoro di Mutambo risponde a un’esigenza urgente nel campo del design: colmare i vuoti lasciati dalle narrazioni storiche dominanti, che spesso hanno escluso o travisato la moda e la cultura materiale africana. Attraverso la sua produzione accademica e i suoi progetti creativi, affronta queste assenze non solo riportando alla luce storie perdute, ma proponendo nuovi modi di ricordare—radicati nell’esperienza vissuta, nelle storie orali e nell’immaginazione speculativa. Il suo approccio resiste alla linearità e all’oggettivazione, preferendo invece una comprensione relazionale dell’abbigliamento come pratica culturale profondamente intrecciata con la memoria, l’identità e il luogo. Questo modo di lavorare si inserisce in un quadro concettuale più ampio descritto come Radicale Reinvenzione Zambeziana: una metodologia auto-composta che ripensa immaginari spaziali, culturali ed ecologici attraverso la lente delle comunità modellate dal fiume Zambesi. Più che riferirsi a una geografia storica o nazionale fissa, qui Zambezia è invocata come termine di futurità—un’alternativa allo stato-nazione che privilegia modalità fluide e non statali di appartenenza e interconnessione. È un invito a pensare come un fiume, dove la conoscenza scorre in molteplici direzioni, plasmata da ritmi stagionali, interdipendenza ecologica e parentela spirituale.

Radicata nell’etimologia latina della parola “radicale”—da radix, cioè “radice”—la Reinvenzione Zambeziana Radicale propone un modo di pensare al contempo radicato e aperto. Indica la memoria ancestrale pur accogliendo la speculazione e la trasformazione. Si nutre di sistemi di conoscenza profondamente ancorati, ma resta aperta a diventare altro. Questa metodologia non è attribuita direttamente a Mutambo, ma offre una lente significativa attraverso cui situare il suo lavoro. La sua pratica creativa esemplifica come il design speculativo possa operare come luogo di ri-radicamento, un processo di ritorno alle linee culturali, familiari e spirituali che resiste alle categorizzazioni coloniali e alla riduzione economica.
Uno degli esempi più evocativi di ciò è la sua serie Analog Sketches—una raccolta di disegni speculativi di moda che vanno oltre i limiti dei paradigmi commerciali. Queste opere propongono indumenti e ornamenti che forse non esisteranno mai in forma materiale, ma che svolgono comunque la funzione vitale di costruzione del mondo. In una riflessione del 2020 sulla serie, Mutambo scriveva: “Nel caso ti stia chiedendo se questi abbiano uno scopo, penso che per me si tratti principalmente di rilocalizzarmi nell’idea di moda. Collocare un corpo africano al di fuori dei limiti di ciò che è e di ciò che ci si aspetta.” Questo gesto non è semplicemente estetico, ma è un modo per ritagliarsi uno spazio immaginativo in cui le identità africane non siano definite da assenza, trauma o esotizzazione, ma da agenzia, curiosità e invenzione.

Uno degli esempi più evocativi di ciò è la sua serie Analog Sketches—una raccolta di disegni speculativi di moda che vanno oltre i limiti dei paradigmi commerciali. Queste opere propongono indumenti e ornamenti che forse non esisteranno mai in forma materiale, ma che svolgono comunque la funzione vitale di costruzione del mondo. In una riflessione del 2020 sulla serie, Mutambo scriveva: “Nel caso ti stia chiedendo se questi abbiano uno scopo, penso che per me si tratti principalmente di rilocalizzarmi nell’idea di moda. Collocare un corpo africano al di fuori dei limiti di ciò che è e di ciò che ci si aspetta.” Questo gesto non è semplicemente estetico, ma è un modo per ritagliarsi uno spazio immaginativo in cui le identità africane non siano definite da assenza, trauma o esotizzazione, ma da agenzia, curiosità e invenzione.
In questo senso, la pratica di Mutambo può essere vista come un affluente che scorre accanto alla Reinvenzione Zambeziana Radicale—una metodologia che privilegia la relazione rispetto alla rottura, e la reinvenzione rispetto alla replica. Come un tributario che si unisce a un sistema fluviale più ampio, il suo lavoro contribuisce a una corrente più vasta di pensiero culturale dell’Africa australe che mira a decentrare i modelli eurocentrici di conoscenza e creatività. Riflette un orientamento verso ecologie della memoria e dell’immaginazione radicate nel luogo, ma che si estendono oltre—verso altre acque, altri corpi, altri modi di esistere.

Un simile orientamento è particolarmente significativo in un panorama creativo globale che ancora fatica a smantellare le gerarchie ereditate dai sistemi coloniali di produzione del sapere. Mettendo in discussione le narrazioni dominanti su cosa sia la moda e per chi sia, Mutambo contribuisce a uno spostamento necessario nel campo—uno spostamento che abbraccia la pluralità, la discendenza e la speculazione come modalità legittima e vitale d’indagine. Il suo lavoro ci ricorda che l’espressione creativa non riguarda solo il fare oggetti, ma il fare significato, il costruire connessioni, il ritessere i fili frammentati delle nostre storie in qualcosa di integro.
I contributi di Nkumbu Mutambo vanno oltre i singoli capi o i risultati della ricerca. Offrono una visione del design come sistema di conoscenza—vivo, relazionale, e radicato nelle realtà e nei sogni di persone troppo spesso escluse dal suo canone. Tracciando nuovi percorsi nel paesaggio del design, il suo lavoro suggerisce che memoria, immaginazione e identità non siano punti fermi ma movimenti—radicali nel loro ritorno alla radice, ed espansivi nel loro scorrere tra acque, territori e mondi diversi.
Foto di copertina: Ndola 2, 2024 (paper)
Banji Chona (nata nel 1997 a Lusaka, Zambia) è un'artista, ricercatrice e curatrice.L'attuale pratica artistica di Chona si esprime attraverso un'alchimia basata sulla terra, un processo che prevede l'uso di materiali naturali come piante e suoli per creare opere che combinano la conoscenza ancestrale dei baTonga con tecniche sperimentali contemporanee. Un'altra forma di espressione della sua arte è la poesia visiva. I collage diventano strumenti per evocare le intersezioni tra le storie ancestrali, il presente e il futuro dei baTonga. Spesso, fotografie antropologiche vengono accostate a oggetti, immagini e narrazioni di carattere personale.La sua ricerca e pratica curatoriale sono orientate a portare alla luce ed esplorare temi legati all'identità, alla memoria e alla resistenza, con un approccio radicato nella narrazione e nella guarigione attraverso mezzi alternativi. Nel suo complesso, il lavoro di Chona si fonda su una metodologia da lei stessa concepita, chiamata Radical Zambezian Reimagination (Radicale Reimmaginazione Zambeziana).