
La Biennale Architettura di Venezia 2025: un laboratorio del futuro
Un’edizione rivoluzionaria tra natura, AI e intelligenza collettiva: oltre 750 protagonisti per ripensare l’architettura come risposta attiva al cambiamento climatico.
La 19ª Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, curata dall’ingegnere e architetto Carlo Ratti, non è un’esposizione tradizionale, ma un vero e proprio “super organismo” in fermento. Concepita come un progetto vivo e pulsante, la Biennale Architettura – intitolata “Intelligens. Natural. Artificial. Collective” (si può visitare fino al 23 novembre) – si sviluppa tra le Corderie dell’Arsenale, i Giardini e numerosi spazi diffusi della Serenissima. Ratti, direttore del Senseable City Lab del MIT di Boston e docente al Politecnico di Milano, ha impostato la mostra come una reazione a catena, dove ogni progetto accende il successivo in un dialogo continuo tra discipline diverse.
Questa edizione segna un cambiamento radicale nel modo di pensare l’architettura: non più semplice risposta estetica alla crisi climatica, ma laboratorio transdisciplinare per immaginare come adattarsi a un mondo in rapido mutamento. “Non dobbiamo costruire di più, dobbiamo costruire diversamente”, afferma Ratti. La sfida? Sperimentare, intrecciare saperi e coinvolgere nuovi attori. Per la prima volta nella storia della Biennale, partecipano più di 750 protagonisti, non solo architetti, ma anche scienziati, filosofi, artisti, matematici, agricoltori, climatologi e programmatori.
La mostra centrale è densa e accessibile, grazie a una curatela che punta molto sulla comunicazione: ogni installazione è accompagnata infatti da dettagliate didascalie e da sintesi generate con intelligenza artificiale (bravi, molto utile). Tra le opere più d’impatto ci sono le inondazioni artificiali e i vortici d’aria rovente creati da Sonia Seneviratne e David Bresch, in collaborazione con la Fondazione Cittadellarte Onlus e Transsolar, che fanno letteralmente “respirare” il cambiamento climatico. In The Other Side of the Hill, un team guidato da Geoffrey West, Roberto Kolter e Patricia Urquiola, esplora l’impatto del declino demografico attraverso installazioni visivamente potenti.
L’approccio di Ratti mescola estetica e sostanza: si va dai materiali innovativi – fibra di banana, legno trasformato con l’AI, fino allo sterco di elefante – al concetto stesso di intelligenza collettiva. L’esempio più spettacolare di questa visione è Living Structure, progetto giapponese firmato da Kengo Kuma e l’Università di Tokyo, dove l’intelligenza artificiale modella il legno in strutture organiche. Ma c’è anche spazio per l’energia: in mostra un reattore nucleare di quarta generazione, raffreddato a piombo liquido, nato dalla collaborazione tra Newcleo, Pininfarina e Fincantieri.
Non mancano tuttavia anche momenti poetici, come la sezione conclusiva Out, dove, guidati dal geniale musicista Jean-Michel Jarre (che ha lavorato con Maria Grazia Mattei, pioniera del digitale in Italia) ci si immerge ad occhi chiusi in un’installazione sonora che evoca mondi futuribili e sensoriali. Un’esperienza da provare.
Questa Biennale non si limita a mostrare, ma provoca, interroga, costruisce ponti. E lo fa con coraggio, senza timore di sfidare il presente. In un’epoca segnata da crisi ambientali e sociali, l’architettura è chiamata a reinventarsi, diventando una proposta concreta per un futuro più sostenibile e inclusivo. Come ha detto Ratti, allievo di Italo Rota (a cui è stato assegnato il Leone d’Oro alla memoria): “Siamo nell’età dell’adattamento. L’architettura non può più essere solo risposta, deve diventare proposta. Architecture is survival”.
Immagine di copertina: Installation view, courtesy of La Biennale di Venezia
Milanese, giornalista professionista, mamma di due gagliarde adolescenti, ama raccontare il bicchiere mezzo pieno della vita, senza trascurare eventuali depositi sul fondo. Da quindici anni si dedica con passione alla cronaca culturale, italiana e internazionale, e firma interviste per alcune delle principali testate italiane. Fissata da sempre con l’arte contemporanea, è anche una travel addicted iper-organizzata. Ultimamente ha tradito la corsa con il pilates.