
La strana morte di Ana Mendieta
Un mistero irrisolto tra arte, body art e performance: la controversa scomparsa di una delle più importanti artiste cubane.
È la notte dell’8 settembre del 1985, un operatore del 911 di New York sta sorseggiando l’ennesimo caffè della serata. Il telefono squilla “Pronto 911, qual è l’emergenza?”
“Mia moglie è un’artista, e anch’io sono un artista, abbiamo litigato per il fatto che io fossi, eh, più esposto al pubblico di lei. È andata in camera, l’ho seguita, ma poi è uscita dalla finestra."
È una frase pronunciata senza troppe pause, un flusso di parole che si muove senza intoppi. Traspare quasi una sicurezza, o una lucidità eccessiva considerata la situazione. L’operatore si attiva immediatamente e in poco tempo polizia e soccorsi sono già avvisati.
Potrebbe sembrare un altro tragico caso di suicidio o di violenza domestica tra due “innamorati”, se non fosse che l’uomo al telefono è Carl Andre, celebre artista minimalista, e la donna precipitata nel vuoto è Ana Mendieta, artista di 37 anni che con la sua arte, fortemente intrisa di politica e femminismo, aveva già scritto tante pagine di storia d’arte contemporanea.
Avete presente quelle strade chiuse, incorniciate da file di case identiche, con muri di mattoni rossastri intervallati da alberi che in autunno si tingono di giallo e arancio? Quelle scenografie perfette, quasi stereotipate, dei film ambientati a New York? Ecco, quello è esattamente come appare Greenwich Village, il quartiere in cui Ana e Carl vivevano da poco più di otto mesi. Si erano trasferiti li poco dopo il loro matrimonio, entrambi con la stessa passione e lo stesso lavoro, ma a dividerli solo una significativa differenza d’età. Carl, affermato artista americano, appartenente alla corrente minimalista, aveva tredici anni in più di Ana.

Due persone così diverse tra loro, ma che si scelsero.
Ana nasce il 18 novembre del 1948 a L’Avana, Cuba. La sua infanzia e la sua adolescenza sono segnate dalla rivoluzione cubana e dalla salita al potere di Fidel Castro. Il padre di Ana, se in un primo momento aveva aderito alla rivoluzione, cambierà presto casacca e si schiererà con i controrivoluzionari. Sarà grazie a questa mossa, con l’operazione “Peter Pan”, operazione segreta organizzata dalla CIA, che Ana, insieme a sua sorella minore e ad altri bambini viene portata in Florida. Frequentato il liceo d’arte in Iowa, si iscrive all’Università dell’Iowa, dove non solo comprende che la pittura non è il suo mezzo d’espressione prediletto, ma incontra anche Hans Breder, professore di origini tedesche dell’Università che influisce moltissimo sull’evoluzione del linguaggio di Ana. I due iniziano una relazione sentimentale, oltre che accademica e professionale. Per Ana Mendieta inizia finalmente la sperimentazione con la fotografia e cresce il suo interesse per le azioni performative. La manipolazione del corpo diventa il suo linguaggio, e fin dai primi lavori emerge con forza la sua indagine sulla fluidità di genere.
Nel 1973 a sconvolgerla è un orribile fatto di cronaca: lo stupro e l’omicidio di una ragazza proprio nel Campus dell’Università dell’Iowa. Ana decide che quello è il momento di agire, e lo fa a modo suo, come solo lei potrebbe fare. Realizza una performance per denunciare quell’orrore: invita studenti e professori nella sua camera e si fa trovare, insanguinata e nuda, nella stessa posizione nella quale era stato trovato il corpo della studentessa vittima del crimine. Nuda dalla vita in giù, con gli slip abbassati fino alle caviglie, i glutei e le gambe intrisi di sangue, piegata sul tavolo e con i polsi legati, completamente immobile, come un pezzo di carne. Mantenendo quella posizione, si rivolge alla platea lì riunita ad assistere, usando ancora una volta il proprio corpo per riflettere e per elaborare quel male.

Il suo nome inizia a circolare nel mondo dell’arte e, nel gennaio del 1978, si trasferisce a New York, entrando in contatto con numerose artiste del movimento femminista. È qui che inizia la relazione sentimentale con l’artista Carl Andre. I pareri sono discordanti: c’è chi li ricorda come due perfetti amanti e chi, invece, li descrive come una coppia tossica. Nel 1983 Ana vince il prestigioso 'Rome Prize' e nel 1985 sposa Andre proprio nella capitale italiana.
Qualche mese dopo, il ritorno a New York potrebbe sembrare l’inizio – o il proseguimento – di una bella storia d’amore. Eppure, cominciano i primi sospetti. Secondo alcuni, Ana avrebbe iniziato a sospettare che Carl avesse avuto una relazione extraconiugale mentre lei era a Roma e lui era impegnato per lavoro a Berlino. Nonostante tutto, la coppia sembra mantenere un clima sereno, dedicandosi con passione alle proprie attività artistiche e partecipando attivamente alla vivace scena sociale della città, ospitando regolarmente cene con noti personaggi. Ma non l’8 settembre. Quella sera decidono di restare a casa, per godersi una serata tranquilla. Cibo cinese e una bottiglia di champagne. Poi lei urla. Un colpo sordo, improvviso. Poi, quella strana chiamata. Le sirene. La disperazione.
Quella notte, il corpo di Ana precipita dalla finestra del loro appartamento al 34° piano, al 300 di Mercer Street, nel Greenwich Village.
Quando gli agenti arrivano all’appartamento, Carl spiega che sicuramente Ana si è suicidata, saltando giù ubriaca. Forse alla base di quel gesto c’è un rifiuto da parte di Ana nei confronti di Carl.
"Come sa che si è buttata?" chiede un agente.
Ana ha un corpo minuto, è bassa e delicata, alcuni ricordano che soffrisse anche di vertigini. Eppure, sarebbe riuscita a salire sul cornicione e a precipitare nel vuoto con un volo durato solo 4,21 secondi.
"Lo so e basta", risponderà Carl, secondo i verbali di quella notte.

Carl viene inizialmente arrestato, poi, tre anni dopo, assolto da tutte le accuse per insufficienza di prove. Secondo i giudici, la morte di Ana fu un incidente o un suicidio – anche se quella notte i due avevano bevuto molto, e alcuni testimoni raccontano di aver sentito un violento litigio poco prima di quel tragico volo. Molti di quelli che la conoscevano ritengono improbabile l’ipotesi del suicidio: Ana sembrava attraversare un momento felice della sua vita. Altri, invece, faticano a credere che Carl potesse farle del male.
Dopo essere stato assolto, Carl continuò a vivere in quella casa.
Il caso rimane immerso in un alone di mistero, segnato da interrogativi che ancora oggi non trovano risposta. Ciò che è certo è che quella notte si è spenta la vita di una grande artista, capace di fondere diversi linguaggi espressivi – dalla body art alla land art, dalla fotografia al video. Un'artista che ha precorso i tempi, esplorando temi di libertà e identità con straordinaria sensibilità. Un’artista di cui, oggi, avremmo ancora un disperato bisogno.
Immagine di copertina: Carl Andre e Ana Mendieta
Alessio Vigni, nato nel 1994. Progetta, cura, scrive e si occupa di arte e cultura contemporanea.
Collabora con importanti musei, fiere d'arte, organizzazioni artistiche ed è consulente esterno della Fondazione Imago Mundi (Treviso). Come curatore indipendente, lavora principalmente con artisti emergenti. Recentemente ha curato SNITCH Vol.2 (Verona, 2024), Dialoghi empatici (Milano, 2024) e la mostra SNITCH (Bologna, 2023). La sua pratica curatoriale indaga il rapporto tra il corpo umano e le relazioni sociali dell'uomo contemporaneo.
Scrive per diverse riviste specializzate ed è autore di cataloghi d'arte e podcast. Per Psicografici Editore è coautore di SNITCH. Dentro la trappola (Roma, 2023). Dal 2024 è membro dell'Advisory Board di (un)fair.