
Le Bedforms di Shupiwe Chongwe
Ceramica contemporanea e memoria ancestrale: il linguaggio dell’argilla nelle opere di Shupiwe Chongwe tra identità, diaspora e paesaggio africano
“Devo essere ormai composta almeno per il trenta percento di argilla. Si aggrappa alla mia pelle, si annida sotto le unghie, si attacca a ogni respiro. Frantumo la roccia color marrone latte, la polvere vorticante attorno a me, simile a fumo alla luce del sole. Ho scoperto di recente che il desiderio di creare ceramiche arriva ad alcune persone nel sonno. Le ceramiste più anziane ci raccontano che, nei loro sogni, sono state chiamate a lavorare con l’argilla. Penso a un richiamo simile, che arriva dal subconscio, e mi rendo conto che pochi legami con la Terra possono essere così profondi.”
Nelle opere della ceramista contemporanea Shupiwe Chongwe, le forme in ceramica vengono impregnate e modellate con una silenziosa attenzione alla materia e alla memoria—o alla memoria della materia. Il suo approccio alla creazione di memorie materiali considera l’argilla non solo come mezzo, ma come un linguaggio: un linguaggio tattile che parla attraverso la sua plasticità, porosità e capacità di trattenere e rilasciare la forma. Un linguaggio che rende omaggio alla Terra e ai paesaggi onirici ancestrali. Attraverso le sue composizioni, tanto scultoree quanto funzionali, forme della e dalla Terra guidano la nascita delle sue creazioni in ceramica. Come espressioni e traduzioni del polimorfismo visibile e percepibile nei paesaggi naturali, il suo lavoro trae ispirazione dalle curve morbide delle colline ondulate, dalle bucce spinose e solide del chitunguza (il "melone cornuto"), dal flusso e dall’ampiezza degli specchi d’acqua, fino ai puntini e vortici sparsi di un cielo notturno limpido.

Come praticante di una sensibilità tellurica, la sua più recente mostra, Bedforms, prende il nome da una formazione geologica definita come “una struttura o un motivo naturale che si forma sulla superficie di un letto di sedimenti a causa del movimento di un fluido, come acqua o aria, su di esso”. In relazione al suo lavoro, il termine assume un significato stratificato, che collega il geologico al personale. Le bedforms, nel loro stato naturale, sono create dal costante tira e molla delle forze ambientali—acqua, vento e tempo—che agiscono sui sedimenti modellando il paesaggio in increspature, dune e schemi mutevoli. Allo stesso modo, le ceramiche di Chongwe emergono da un dialogo intimo tra materia e forza, dove l’argilla, come il sedimento, registra memoria, movimento e trasformazione. La memoria materiale delle sue opere suscita riflessioni e domande su migrazione, identità e parentela, in relazione all’argilla. L’identità, come l’argilla, può manifestarsi in stati di elasticità—plasmata dal movimento e dalla trasformazione, dalla storia e dall’ambiente. In una riflessione intima sull’identità e sulla sua natura elastica e liminale, scrive: “L’argilla umida colora la mia pelle di un marrone profondo, una tonalità che un tempo desideravo fosse mia, una spiegazione semplice per il mio nome africano, che non richiedesse risposte imbarazzate a domande indesiderate.” Qui, l’argilla diventa più di un materiale: è un luogo di negoziazione, dove l’appartenenza viene modellata e rimodellata, riflettendo la fluidità dell’identità.
La pratica ceramica di Chongwe, vissuta nella diaspora, affonda le radici in una tradizione generazionale trasmessa nella sua famiglia, sia come abilità che come forma di conoscenza ancestrale. Suo padre è stato il suo primo iniziatore in questo lignaggio, e il suo studio casalingo ha rappresentato il luogo dove il rituale del lavoro con l’argilla è divenuto veicolo di trasmissione del sapere e dell’esperienza. È lì che Chongwe ha incontrato l’argilla non solo come materiale, ma come portatrice di memorie.
Come linguaggio che parla di casa, la ceramica del padre occupa uno spazio che richiama tanto le tradizioni estetiche zambiane quanto quelle australiane, fondendole in un’espressione personale. Sua trisavola, Ambuya Mogodize, era una ceramista Chewa che lavorava la terracotta con argille naturali provenienti da termitai e rive dei fiumi nella parte orientale dello Zambia—depositi terrestri modellati dal tempo e dagli elementi. Come le bedforms. Il legame tra Chongwe e Ambuya Mogodize mantiene la pratica ceramica ancorata alle sue origini nella conoscenza della terra, dove l’argilla non veniva semplicemente estratta, ma raccolta con consapevolezza dei suoi ritmi e delle sue storie naturali. Il suo metodo incorpora tecniche ancestrali che sembrano respingere la razionalità fredda di certi metodi produttivi occidentali, che spesso privilegiano la precisione, l’uniformità e il distacco dalla volontà intrinseca del materiale. Al contrario, Chongwe valorizza l’unicità, l’irregolarità e l’intuizione, abbracciando uno stato di flusso e trasformazione anziché di rigidità. Le sue ceramiche, influenzate da ritmi naturali e saperi generazionali, portano i segni del processo e del gesto, ogni pezzo riflette la relazione tra artigiana, materia e memoria ancestrale.
Questa eredità di lavoro intenzionale colloca la sua pratica sia come continuazione sia come espansione delle tradizioni che l’hanno formata e di coloro che l’hanno preceduta. In una riflessione scritta nel suo diario, racconta: “Penso alle altre donne della mia famiglia che prima di me hanno lavorato la terra… L’argilla che filtrava nei pori, che si aggrappava ai capelli. Ora faccio lo stesso, cercando di rispecchiare i loro gesti e colmare un vuoto che attraversa decenni… L’ultimo mese è stato un’esplorazione di argilla, ceramica e famiglia. Ho ascoltato il mio Ambuya raccontare vecchie storie su quando raccoglieva l’argilla dai termitai per sua nonna.”
La collezione di ceramiche presentata in Bedforms si configura come una serie di domande scultoree sulla formazione e sull’identità. A queste si affiancano installazioni audiovisive sperimentali, con scene e prospettive registrate in Zambia nel 2024, che approfondiscono il percorso dell’artista nel tracciare riflessioni intime su identità, parentela e materialità del movimento. Ogni pezzo della mostra agisce sia come archivio che come espressione: contenitori di narrazioni personali e collettive che emergono, si erodono e si riconfigurano nel tempo.

Pur radicato in tradizioni ereditate, il lavoro di Chongwe riflette una negoziazione dinamica tra passato e presente, memoria e reinvenzione. L’argilla che modella è tanto materia quanto metafora—registra la storia, ma si adatta, si trasforma e assorbe nuove influenze. Proprio come i suoi antenati raccoglievano la terra dai termitai e dai letti dei fiumi, lei raccoglie storie, gesti e tecniche, fondendoli nella sua pratica contemporanea. Le sue ceramiche sono vasi—non solo di funzione o forma, ma di lignaggio, di memoria contenuta nella materia. “Accanto a mio padre, ho osservato le mani esperte dei ceramisti del villaggio modellare l’argilla in sculture, e seguito il ritmo lento e regolare delle infradito della signora Mweemba battere contro la terra dura mentre ci recavamo a scavare l’argilla da un letto di fiume asciutto. In tutto questo tempo, ho passato molte ore a raccogliere, macinare e modellare l’argilla da sola, concedendomi il tempo per stare ferma e riflettere sulla tradizione che sto continuando.”
Attraverso Bedforms e le sue opere più ampie, Chongwe invita chi osserva a considerare le forze invisibili che ci plasmano—ambientali, culturali e ancestrali. Le sue ceramiche sono vasi non solo di funzione o forma, ma di lignaggio, memoria e trasformazione. Nelle sue mani, l’argilla non è semplicemente materia, ma narratrice di storie, incisa da storie ereditate e reimmaginate. Toccare l’argilla, nella sua pratica, significa toccare il tempo stesso—affondare le mani nel passato mentre si plasma il futuro. Il sedimento della storia non si deposita: continua a muoversi, a incresparsi, a prendere nuove forme, così come identità, parentela e luogo restano in perpetuo movimento. Attraverso il suo lavoro, Chongwe ci ricorda che anche noi siamo modellati da queste forze, plasmati dai paesaggi da cui proveniamo e dalle storie che portiamo con noi.
Immagine di copertina: Le mani della vasaia. Per gentile concessione di Shupiwe Chongwe
Banji Chona (nata nel 1997 a Lusaka, Zambia) è un'artista, ricercatrice e curatrice.L'attuale pratica artistica di Chona si esprime attraverso un'alchimia basata sulla terra, un processo che prevede l'uso di materiali naturali come piante e suoli per creare opere che combinano la conoscenza ancestrale dei baTonga con tecniche sperimentali contemporanee. Un'altra forma di espressione della sua arte è la poesia visiva. I collage diventano strumenti per evocare le intersezioni tra le storie ancestrali, il presente e il futuro dei baTonga. Spesso, fotografie antropologiche vengono accostate a oggetti, immagini e narrazioni di carattere personale.La sua ricerca e pratica curatoriale sono orientate a portare alla luce ed esplorare temi legati all'identità, alla memoria e alla resistenza, con un approccio radicato nella narrazione e nella guarigione attraverso mezzi alternativi. Nel suo complesso, il lavoro di Chona si fonda su una metodologia da lei stessa concepita, chiamata Radical Zambezian Reimagination (Radicale Reimmaginazione Zambeziana).