Due mostre imperdibili a New York: Dicembre 2024

20.12.24

Questo mese New York brilla di mostre interessanti e stimolanti a Chelsea, Tribeca e nell'Upper e Lower East Side. Non importa se si ama o si odia un monolite d'acciaio, una pala d'altare o una star del K-pop, lo spettatore può trovare la mostra che fa più per lui. Le due esposizioni selezionate interessano due diversi gusti intellettuali: sono entrambe testimonianze emblematiche di contesti più ampi della storia dell'arte, ma presentano anche una profonda analisi delle visioni artistiche a cui si riferiscono. Vi prego di scusare il mio atteggiamento laissez-faire nel trattare con leggerezza undici secoli di storia dell'arte, ma entrambe le mostre dimostrano chiaramente perché ci innamoriamo e continuiamo a essere affascinati dall'arte visiva.

Installation view of "Siena The Rise of Painting, 1300–1350", The Metropolitan Museum of Art. Photo by Eileen Travell, Courtesy of The Met
Installation view of "Siena The Rise of Painting, 1300–1350", The Metropolitan Museum of Art. Photo by Eileen Travell, Courtesy of The Met
Installation view of "Siena The Rise of Painting, 1300–1350", The Metropolitan Museum of Art. Photo by Eileen Travell, Courtesy of The Met
Installation view of "Siena The Rise of Painting, 1300–1350", The Metropolitan Museum of Art. Photo by Eileen Travell, Courtesy of The Met

Siena: The Rise of Painting 1300 to 1350 al Metropolitan Museum era affollata quando l'ho visitata sabato scorso, con gli spettatori in profonda contemplazione davanti a foglie d'oro, pigmenti, cornici di legno e pale d'altare. La mostra riunisce più di cento opere provenienti dalle collezioni del Met e della National Gallery di Londra, oltre a prestiti da decine di altre collezioni soprattutto europee. L'unità stilistica, sottolineata da una precisa struttura narrativa, che è anche l'argomento principale della mostra, viene fatta risalire a Duccio di Buoninsegna (ignoto - 1319) e poi proseguita dai suoi successori senesi Pietro (1280 ca. - 1348) e Ambrogio Lorenzetti (1290 ca. - 1348 ca.), e da Simone Martini (1284 - 1344), che hanno poi trasportato queste innovazioni visive in altre città europee. Il centro metafisico della mostra è la Maestà di Duccio, o meglio 33 parti separate di essa sparse in dieci collezioni in cinque paesi diversi. Questa pala d'altare che Duccio dipinse per il Duomo di Siena fu voluta per la particolare devozione della città per la Vergine Maria dopo la miracolosa vittoria sulle forze, molto più forti, dei suoi nemici fiorentini nella battaglia di Montaperti del 1260. Utilizzando alcune specificità dei suoi colori sui pannelli di pioppo, Duccio è riuscito a unire due approcci artistici molto diversi: da un lato, ha mantenuto l'elemento stilizzato e schematico delle figure tipiche della tradizione bizantina, dall'altro ha creato scene di devozione che sembrano più vive, emozionanti e coinvolgenti. I sei vasi d'acqua in pietra terrosa nelle Nozze di Cana o le città in miniatura bianco-rosa ne La tentazione di Cristo sulla montagna creano un varco visivo per noi che scrutiamo dall'altopiano della nostra era digitale, utile per comprendere la storia artistica del passato.

I volti gentili di Simone Martini brillano nello spazio oscuro del Met, mostrando a tutti la loro radiosità. Inoltre, la luce soffusa crea l'illusione del movimento e dà profondità a tutto l'ambiente.

Simone Leigh, Installation view, Matthew Marks Gallery
Simone Leigh, Installation view, Matthew Marks Gallery
Simone Leigh, Installation view, Matthew Marks Gallery
Simone Leigh, Installation view, Matthew Marks Gallery
Simone Leigh, Installation view, Matthew Marks Gallery
Simone Leigh, Installation view, Matthew Marks Gallery
Simone Leigh, Installation view, Matthew Marks Gallery

La seconda mostra da non perdere è molto diversa per quanto riguarda i supporti visivi che utilizza, ma anche per l'obiettivo. Simone Leigh alla Matthew Marks Gallery presenta le nuove opere dell'artista di Chicago che, nel corso della sua ventennale carriera, ha lavorato con scultura, installazione, video, performance e attivismo sociale. Simone Leigh, nata nel 1967, è nota soprattutto per le forme scultoree associate alle tradizioni, alle strutture e alle trame radicate nella diaspora africana. Secondo le parole dell'artista, il suo lavoro e il suo approccio multidimensionale “A volte fa collassare il tempo. A volte, rende più evidenti somiglianze che possono essere avvenute nel corso di un millennio”. Gli ampi spazi bianchi della Matthew Mark Gallery ci accolgono con undici sculture massicce, che variano per grado di astrazione e intensità visiva. Artemis (2022-24) è una scultura bianco latte a grandezza naturale di una donna acefala, tutta ricoperta da un abito dalle forme delicate, che mettono in evidenza il seno. L'intricato drappeggio di pizzo è fatto di porcellana, che richiama alla mente tutti i servizi da tè fatti con questo materiale e le associazioni culturali non così "delicate" relative alla storia della tratta degli schiavi. Tuttavia, Leigh non ci indica esplicitamente questa associazione, dandoci ampie possibilità di entrare con estrema cura nella sua visione dei corpi femminili forti e non associati a una precisa identità. “Astraendo dalla figura,”, spiega Leigh, "immagino un'esperienza, uno stato d'essere, piuttosto che una persona". Un'altra scultura delicata è un busto di donna, anch'esso senza testa e completamente ricoperto da centinaia di rosette di porcellana fatte a mano. È blu, l'opera che è forse l'omaggio esplicito al romanzo di Tony Morrison, o forse è solo il mio cervello che crea questo collegamento in un modo così specifico.

Sebbene Duccio e Simone Leigh provengano da prospettive molto differenti, entrambe le mostre esplorano gli aspetti temporali della narrazione. Se Duccio è stato tra i primi a consolidarlo nel contesto della tradizione pittorica italiana, Simone Leigh lo indaga liberamente, attingendo al suo patrimonio culturale africano e rivelandoci una piena comprensione concettuale dell'argomento. Sebbene nel suo fondamentale saggio del 1925, La deumanizzazione dell'arte, il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset affermi che, quando l'arte è dominata da preoccupazioni estetiche, si crea un distacco dalla storia umana, queste mostre dimostrano il contrario. Le storie umane che le animano ritornano sempre a noi.


Immagine di copertina: Simone Leigh, Sphinx 2022–23, Stoneware, porcelain, 30 × 54 × 34 inches; 78 × 137 × 86 cm, © Simone Leigh, Courtesy Matthew Marks Gallery. Photo by Timothy Schenck

Nina Chkareuli-Mdivani è una curatrice, scrittrice e ricercatrice indipendente di origine georgiana e residente a New York. È autrice di King is Female (2018), la prima pubblicazione che indaga le questioni dell'identità di genere nel contesto della trasformazione storica, sociale e culturale dell'Europa orientale negli ultimi due decenni. Nel corso della sua carriera ha tenuto conferenze in tutto il mondo e pubblicato numerosi articoli per riviste come E-flux, Hyperallergic, Flash Art International, Artforum, MoMa.post, The Arts Newspaper e molte altre. 


La sua ricerca si addentra nell'intersezione tra storia dell'arte, museologia e studi sulla decolonizzazione, con particolare attenzione all'arte totalitaria e alla teoria del trauma, temi che ha esplorato anche nelle oltre dieci mostre che ha curato a New York, in Germania, Lettonia e Georgia.

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