Cosa serve per essere un artista di successo?
Intervista a Logan T. Sibrel
Logan T. Sibrel è un artista newyorkese che esplora il concetto di intimità attraverso una prospettiva queer. Attivo dal 2009, ha maturato una profonda comprensione dell'instabilità e della competitività del mercato dell'arte, così come delle sfide legate alle opportunità limitate per gli artisti e ai modi di crearle.
Nina: Cosa serve oggi per diventare un artista di successo a New York e nel mondo? E quali sono le strategie che un artista utilizza per posizionarsi in questo settore altamente competitivo?
Logan: Molte cose sono cambiate per quanto riguarda il modo in cui il pubblico scopre il tuo lavoro, e non c’è una logica chiara su come le cose si sviluppino. Tuttavia, molti aspetti restano immutati.
Pur essendo riluttante verso parole come "networking", sono convinto che avere una rete di contatti sia stato, e continui a essere, essenziale. Vivo e lavoro a Brooklyn dal 2009, ma per molti anni non sono riuscito a fare una mostra a New York. Un mio caro amico, Nils, uno studente tedesco che avevo conosciuto durante uno scambio al liceo, è diventato graphic/exhibition designer ad Amburgo e mi ha suggerito di iniziare a realizzare i miei progetti in Germania. Da lì, le cose hanno preso velocemente piede in Europa. Ho anche tratto vantaggio dal fatto di avere un gruppo di amici pittori che ho conosciuto durante gli studi all'Università dell'Indiana e che si sono trasferiti a New York nel mio stesso periodo.
Penso che sia fondamentale coltivare amicizie con altri artisti di cui si rispetta il lavoro e, soprattutto all’inizio, è necessario esporre ovunque se ne abbia l’opportunità. Molti diventano snob perché magari una galleria non è la loro prima scelta, o perché devono esporre in una caffetteria o in un altro spazio non convenzionale. Ma credo che lo spazio conti poco: se il lavoro è valido, avrà comunque un impatto.
Nina: Pensi che il sistema attuale di rappresentanza da parte di una galleria sia efficace per un artista? Se no, come pensi potrebbe cambiare per rispondere meglio alle tue esigenze?
Logan: Dipende totalmente dai propri obiettivi come artista e, a seconda di quello che si riesce a raggiungere da soli, l'essere rappresentati da una galleria potrebbe non essere così essenziale come un tempo.
Negli ultimi anni sono diventato più esigente nei confronti di chi lavora con me (mi rendo conto che questo sia un privilegio). In genere diffido di questo sistema, quindi mi assicuro di lavorare con persone sulla mia stessa lunghezza d'onda, che rappresentano artisti che mi piacciono davvero e che si trovano in città che mi piace visitare. Questo approccio mi ha fatto sentire come se mi stessi dando la zappa sui piedi per molto tempo, ma alla lunga mi è servito. Devo ammettere che così facendo ho avuto pochissime esperienze negative.
Nina: Il mercato dell'arte ha un'influenza sui soggetti che hai scelto per le tue opere? Avresti dipinto in modo diverso se non avessi avuto questa pressione?
Logan: È difficile dirlo. A un certo livello, certo, probabilmente. Almeno inconsciamente.
Non ho mai dipinto un soggetto specifico perché me l'ha suggerito una galleria o qualcosa del genere (è più probabile che faccia l'esatto contrario, per dispetto). Tuttavia, se realizzo un lavoro che mi appassiona e, per caso, ha successo al punto da alleviare le mie preoccupazioni finanziarie, potrei concedermi di rimanere in quell'ambito più a lungo di quanto normalmente farei.
Nina: Pensi che gli artisti debbano diventare dei brand per essere più accessibili al grande pubblico?
Logan: Sono la persona sbagliata a cui porre questa domanda. Tendo a pensare che il lavoro non può essere ottimo se piace a tutti. Dovrebbe far storcere il naso a qualcuno.
Nina Chkareuli-Mdivani è una curatrice, scrittrice e ricercatrice indipendente di origine georgiana e residente a New York. È autrice di King is Female (2018), la prima pubblicazione che indaga le questioni dell'identità di genere nel contesto della trasformazione storica, sociale e culturale dell'Europa orientale negli ultimi due decenni. Nel corso della sua carriera ha tenuto conferenze in tutto il mondo e pubblicato numerosi articoli per riviste come E-flux, Hyperallergic, Flash Art International, Artforum, MoMa.post, The Arts Newspaper e molte altre.
La sua ricerca si addentra nell'intersezione tra storia dell'arte, museologia e studi sulla decolonizzazione, con particolare attenzione all'arte totalitaria e alla teoria del trauma, temi che ha esplorato anche nelle oltre dieci mostre che ha curato a New York, in Germania, Lettonia e Georgia.