Anne e Patrick Poirier: L’arte della memoria, tra fragilità e mito

Dall’archeologia del ricordo alla poesia della rovina: il viaggio visionario di due artisti inseparabili

03.07.25

Poche unioni creative hanno saputo fondere vita e arte in modo tanto profondo quanto quella di Anne e Patrick Poirier. Nati rispettivamente a Marsiglia nel 1941 e a Nantes nel 1942, si conoscono all’École nationale supérieure des Arts décoratifs di Parigi. È lì che nasce un legame tanto umano quanto intellettuale, che prende una svolta decisiva nel 1967, quando vincono insieme il Grand Prix de Rome. Il periodo a Villa Medici, sotto la direzione del visionario Balthus, segna per loro un momento chiave: da allora, ogni progetto porta una doppia firma, una sola voce. Indivisibili, in simbiosi.

A Roma si definisce il loro sguardo sul mondo: uno sguardo che non cerca il nuovo a tutti i costi, ma che si rivolge al passato per interrogare il presente. Circondati dai resti di civiltà antiche, i Poirier iniziano a esplorare la memoria come materia viva, come territorio da attraversare. È in questi anni che si delineano i temi centrali del loro lavoro: la rovina, il frammento, la perdita, la possibilità di ricostruire un senso a partire da ciò che è rimasto. Non è un’arte nostalgica, ma profondamente poetica, che sceglie la lentezza e la contemplazione.

Si definiscono “archeologi della memoria”, e in effetti lavorano come tali: raccolgono tracce, indizi, segni sparsi della storia – reale o immaginata – e li rimettono insieme con uno sguardo da studiosi, ma anche con la sensibilità di chi sa ascoltare il silenzio delle cose. I materiali che usano – petali, sabbie, mappe, cere, fotografie – parlano di fragilità e di trasformazione. In ogni installazione, in ogni scultura o disegno, si avverte una tensione tra ciò che resta e ciò che svanisce.

Lavorano con quello che è effimero, instabile, spesso danneggiato. E proprio lì trovano senso. I loro lavori non gridano, non cercano lo shock, ma ci invitano a osservare meglio. Una città in rovina, un oggetto consumato dal tempo, una mappa scolorita: tutto diventa un frammento di racconto. Le loro opere sono come mappe emotive, dove lo spettatore è chiamato a completare ciò che manca, a immaginare cosa è stato.

Anne&PatrickPoirier, Fragility, 1994
Anne&PatrickPoirier, Fragility, 1994
Anne&PatrickPoirier, Fragility, 1994
Anne e Patrick Poirier, Archives, 2014. Stampa Ilfochrome montata su Dibond, 241x151x6 cm
Anne e Patrick Poirier, Archives, 2014. Stampa Ilfochrome montata su Dibond, 257x151x6 cm

Tra i loro lavori più significativi ci sono opere come Eurydice, dove la figura mitologica diventa simbolo della memoria che si perde, o Fragility, che parla della vulnerabilità dell’esistenza. In Gradiva, ispirata a Freud, si racconta il confine tra sogno e realtà, tra desiderio e inconscio. Sex invece affronta il corpo e l’istinto con rispetto e sacralità, trattandoli come reperti da custodire, non da esibire.

In tempi più recenti, hanno realizzato una serie di fotografie che ritraggono petali segnati da piccoli tagli, graffi, impronte. Sono gesti minimi ma profondi, che trasformano un fiore in una sorta di pelle viva, attraversata dal tempo. Come ferite o tatuaggi, questi segni raccontano una storia: quella dell’interazione tra il naturale e l’artificiale, tra il passaggio dell’uomo e quello del tempo. Il petalo diventa superficie da leggere, fragile eppure potente.

Anne e Patrick Poirier, Archives, 2014. Stampa Ilfochrome montata su Dibond, 257x151x6 cm Anne e Patrick Poirier, Archives, 2014. Stampa Ilfochrome montata su Dibond, 257x151x6 cm

Tutto il loro lavoro è attraversato da una forte spinta etica: resistere all’oblio, tenere vive le memorie collettive, non lasciare che ciò che è stato venga cancellato. Il tempo, nelle loro mani, diventa qualcosa di fisico, quasi da toccare. Ogni frammento è una possibilità di connessione con ciò che è stato, ma anche con ciò che siamo.

Hanno esposto in musei e istituzioni di tutto il mondo, dal Centre Pompidou alla Biennale di Venezia. La critica li ha sempre riconosciuti come una voce unica, fuori dalle mode e dalle classificazioni facili. Due persone, una sola visione. La loro arte è intima ma universale, e riesce a parlare anche oggi con sorprendente attualità.

In un’epoca che corre veloce, che dimentica in fretta, i Poirier ci ricordano che anche ciò che si sgretola può raccontare qualcosa. Che vale la pena rallentare, ascoltare, raccogliere. E che ogni cosa destinata a finire merita comunque di essere ricordata.

Immagine di copertina: Anne e Patrick Poirier, Archives, 2014

Figlia adottiva di Milano ma nata in Campania. Ne ho raccontato la cultura viscerale, i suoi eccessi sentimentali, il culto del quotidiano e del sacro. Scrivo di arte, moda, cibo, rabbia, eretismo psichico e polemiche sterili. Ho scritto di corpi queer, sangue nell’arte, edicole non ordinarie e di amore. Mi piacciono le parole complesse, la frutta matura e i flussi di coscienza. 

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