
Antonella Soldaini e la sua collezione nella casa-studio di Roma
L'intervista e il viaggio nella collezione della curatrice Soldaini.
Antonella Soldaini è una studiosa di lungo corso, con esperienze significative nel contesto internazionale (nel 1981 era già a New York per proseguire i suoi studi alla C.U.N.Y. University e sempre in America, nel 1988, ha avviato la sua attività curatoriale al Wexner Center for the Visual Arts a Columbus). Curriculum imponente di pubblicazioni e mostre, in cui alla scrupolosa cura editoriale ed espositiva ha affiancato lo studio approfondito di singoli artisti lungo anni di impegnative sessioni di ricerca negli archivi e negli studi. La sua casa-studio di Roma – dove vive quando non è a Milano, città che l’ha adottata professionalmente oltre trent’anni fa – è densa di librerie in tutti gli ambienti, anche in camera da letto, e di opere degli artisti con cui ha a lungo dialogato e lavorato, è infatti un po’ come una sintesi di una vita vissuta a stretto contatto con artisti incredibili. A cominciare dall’artista inglese David Tremlett, che ha concepito per lei un lavoro site-specific sul soffitto tondeggiante dell’ingresso della casa-studio, «Sono lettere mischiate che, riunite, compongono i nomi delle città del mondo che ha girato».
Antonella, la tua vera casa è questa?
«Sì, a Milano c’è soltanto una montagna di libri. E un letto.»

Quindi le opere sono qui a Roma?
«Noi curatori non nasciamo collezionisti, quello che vedi è una raccolta di opere di alcuni degli artisti o delle famiglie che gestiscono il loro archivio, quando loro non ci sono più, con cui ho lavorato. Quando reputano che si sono trovati bene gli fa piacere omaggiarti con qualcosa. Ovviamente una pratica accettabile solo nel campo del privato in cui lavoro»
Parliamo di un’opera a cui sei particolarmente legata.
«Vorrei parlare di una che ho perso. Un disegno dedicato a me di Sol LeWitt e in un trasloco nel caos non sono riuscita più a trovarlo, un dolore enorme! Era un lavoro bellissimo, me lo regalò lui dopo una mostra. Conobbi Sol perché il Museo Wexner dove lavoravo negli anni Novanta, mi chiese di andarlo ad intervistare. Lui mi ospitò a casa sua per qualche giorno e in quell’occasione conobbi la moglie e le figlie. Fu molto gentile ma non volle rilasciarmi alcuna intervista. Da quel momento però rimanemmo in contatto. Lo coinvolsi per esempio al Museo Pecci dove fece un lavoro gratuitamente, credo anche per via del nostro rapporto di amicizia che era nato durante i giorni che passammo insieme.»
Vedo tre importanti lavori di Rotella, un artista di cui ti sei a lungo occupata quando eri direttrice del Mimmo Rotella Institute.
«Sono tre décollage che provengono dalla famiglia dell’artista. Ce n’è uno quasi informale, molto grande, a cui tengo molto.»
Ma vedo anche piccole opere preziose.
«Per esempio una ciotolina, delle ceramiche di Fausto Melotti e una sua piccola scultura multiplo.»
Per molti anni hai lavorato a diversi progetti espositivi e editoriali con Germano Celant, che tu hai conosciuto in America quando avevi già strutturato il tuo lavoro curatoriale nei musei. Lui era anche un appassionato collezionista, anzitutto di opere. La sua casa-studio di Milano era come un museo internazionale, come vidi anni fa sulle pagine di una rivista di design, ricordo Kiefer, LeWitt e molti altri.
«All’inizio era più distaccato probabilmente, le opere arrivavano dagli amici artisti quasi casualmente. Poi dopo c’è stato un impegno vero e proprio. Gli piacevano molto i libri e le opere di cui amava circondarsi. Gli artisti poi ci tenevano ad esserci nella sua collezione.»
Questa tua raccolta è quindi, anzitutto, un paesaggio d’affezione nello spazio domestico e di lavoro.
«Queste opere mi fanno calore, sono a mio agio quando sono a contatto con loro, ogni opera mi ricorda un rapporto positivo, per fortuna sono stati tutti rapporti molto belli.»
Vedo per esempio un importante lavoro a parete di Remo Salvadori a cui sei legata. So che è uscita in questi giorni la sua monografia (pubblicata da Skira), a tua cura, edita dallo Studio Celant, di cui tu sei consulente curatoriale e responsabile della ricerca e a luglio sarai curatrice, con Elena Tettamanti, dell’antologica di Remo a Palazzo Reale a Milano.
«Con Remo ci conosciamo da tempo, così come con Marco Bagnoli per cui ho seguito la monografia che uscì anni fa a cura di Celant e per cui ho scritto la cronologia.»
C’è anche un lavoro di Marco Tirelli, con cui hai condiviso diversi progetti.
«Uno dei suoi lavori misteriosi e geometrici. E poi c’è Umberto Cavenago, un altro amico. Poi anche un disegno di John Wesley, quando è stata fatta una sua mostra alla Fondazione Prada a Venezia, io feci un lavoro di cronologia per la sua importante monografia che gli piaque molto. Non appartiene al contemporano ma ho anche un piccolo disegno di Giulio Aritstide Sartorio che mi diede suo figlio per un mio scritto sull’opera dell’artista, che risale ai tempi dell’università, e a cui sono affezionata»
Altre opere?
«Sicuramente Marco Bagnoli e poi Alberto Garutti con un suo cristallo che si illumina soltanto di notte e che risale ai tempi in cui facemmo l’opera a Fabbrica, nel comune di Peccioli in Toscana, che per lui significò una svolta importante. Poi Giulio Paolini con cui ho condiviso diversi progetti, Michele Zaza con un lavoro installativo che include fotografia e inserti in legno e ancora Giorgio Vigna e Tadashi Kawamata che mi ha costruito un piccolo tavolo e una piccola foto che mi ritrae grassa di Ewin Wurm di cui curai una sua mostra al Museum of Contemporay Art a Sidney.»
Ma gli artisti, quindi, sono generosi?
«Quelli giovani non molto. Con belle eccezioni. Ho infatti un quadretto che adoro di un artista con cui non ho mai lavorato ma che ha voluto regalarmi, si chiama Simone Settimo.»
Immagine di copertina: Mimo Rotella, Ato, 1990
Lorenzo Madaro è curatore e professore di Storia dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dove insegna anche Museologia del contemporaneo.
Collabora stabilmente con il quotidiano "La Repubblica" e con il settimanale "Robinson" della stessa testata. Per le pagine milanesi del quotidiano, ha curato rubriche dedicate agli studi degli artisti in città, alle gallerie e agli archivi degli artisti e dei designer. Collabora con i Poli Biblio-museali di Puglia e con Flash Art ed è membro del comitato scientifico e curatoriale della Fondazione Biscozzi Rimbaud di Lecce. Tra le mostre recenti curate: Dimensionare lo spazio (A Arte Invernizzi, Milano, 2024), Yuval Avital. Bosco di Lecce (MUST, Lecce, 2023) Umberto Bignardi. Di nuovo a Roma (Galleria Valentina Bonomo, Roma, 2023); Pino Pinelli (Dep Art Out, Ceglie Messapica, 2023), Mimmo Paladino. Non avrà titolo (Palazzo Parasi, Cannobio, 2023); Riportando tutto a casa (Museo delle Navi Romane, Nemi, 2023); Federico Gori. L’età dell’oro (Museo nazionale di Taranto, 2022 – progetto vincitore del bando PAC del Ministero della cultura); Sebastiao Salgado (Castello di Otranto, 2022), Andy Warhol (Monopoli, Castello Carlo V, 2022), Stati della materia (Gagliardi e Domke, Torino 2021); Gianni Berengo Gardin. Vera fotografia (Castello, Otranto 2020); Umberto Bignardi. Sperimentazioni visuali a Roma (1963-1967) (Galleria Bianconi, Milano 2020); Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro (Galleria Fabbri, Milano, 2019). Ha collaborato con il MAXXI (Roma), Quadriennale di Roma, Festival della letteratura Treccani e con altre istituzioni.