
Due mostre imperdibili a New York ad aprile
Jack Whitten al MoMA e Caspar David Friedrich al Met protagonisti di due mostre che esplorano spiritualità, politica e la trascendenza del paesaggio.
Due mostre decisamente misteriose vengono presentate nei due musei più importanti di New York questa primavera. Una di esse è di natura politica, ma spirituale nell'esecuzione, ed è Jack Whitten:The Messenger al Museum of Modern Art, curata da Michelle Kuo. L'altra è permeata da una ricerca che parte dall'ambito familiare per arrivare a una nuova comprensione di se stessi e si intitola Caspar David Friedrich: The Soul of Nature. Presentata al Metropolitan Museum e organizzata in collaborazione con tre musei tedeschi.
La mostra di Caspar David Friedrich (1774-1840), curata da Alison Hokanson e Joanna Sheers, presenta più di 75 dipinti e disegni di formazioni rocciose, monasteri in rovina, mise-en-scène religiose e tramonti melanconici, meticolosamente costruiti dall'artista. Secondo le ultime ricerche sull'artista, Friedrich non dipinse mai paesaggi specifici, ma piuttosto costruì, nel privato del suo studio, ciò che vediamo ora partendo da una moltitudine di dettagliate ricerche in loco. Le figure anonime in silhouette fanno parte di questo cosmo talvolta illuminato dalla luna, ma sono a loro volta osservate mentre scrutano i paesaggi per comprendere lo spazio, il mare e le nuvole. L'artista inserisce l'umanità in questo cosmo, ma questi diventano esseri che non si integrano organicamente con ciò che li circonda. Nelle opere in mostra, la profonda connessione di Friedrich con le sue credenze luterane si mescola a uno scetticismo verso la sensualità e il piacere legato ai sensi, come il suono e la vista. Si percepisce il suo tentativo di comprendere ciò che va oltre il visibile.
Come altri pittori oggi considerati esponenti del Romanticismo europeo – Théodore Géricault, Eugène Delacroix, Francesco Hayez, in parte Francisco Goya, J.M.W. Turner e John Constable – anche Friedrich cercava di ripensare il rapporto dell'uomo con il mondo esterno. La sua epoca era l'alba di una nuova era e, come ogni artista, anche lui doveva riconsiderare empiricamente il modo in cui l'umanità poteva relazionarsi con la modernità emergente. Nel suo manifesto I Comandamenti dell'Arte (1809), Friedrich scrisse: "[n]on deve essere l'uomo l'oggetto dell'imitazione, ma il divino eterno, che deve essere anche il suo obiettivo. L'arte è infinita, tutta la conoscenza e l'abilità degli artisti sono finite." Il divino eterno era al centro del suo universo: le nuvole dorate che dipingeva erano il mezzo per raggiungerlo.
Al MoMA, Jack Whitten: The Messenger offre un approccio diverso alla ridefinizione della nostra relazione con lo spazio e a come ci adattiamo, ci ribelliamo e reinventiamo, ponendoci in relazione con il caos. Questa retrospettiva abbraccia sei decenni della pratica sperimentale e innovativa di Jack Whitten, presentando oltre 175 opere tra dipinti, sculture e lavori su carta. Nato a Bessemer, Alabama, nel 1939, Whitten si trasferì a New York, diventando una figura chiave dell'Espressionismo Astratto americano, per poi intraprendere un percorso personale fatto di rischio, fluidità e ricerca di una nuova identità afroamericana. Il suo approccio sperimentale era influenzato dall'estetica Bauhaus, che aveva approfondito negli anni '60 alla Cooper Union.
Ho avuto l'opportunità di intervistare la curatrice della mostra, Michelle Kuo, Chief Curator at Large e Publisher del MoMA, per approfondire la pratica di Whitten e questa esposizione.
Nina: Perché ritieni importante presentare questa mostra proprio adesso?
Michelle Kuo: Jack Whitten ha trasformato il concetto stesso di arte e il suo potenziale. La sua dedizione alla pittura astratta, al disegno e alla scultura, spinta a livelli di innovazione estrema, è quasi senza precedenti nella storia dell'arte del dopoguerra. Tuttavia, ha dovuto lottare per ottenere il riconoscimento, anche a causa delle sue origini. La sua incessante ricerca e reinvenzione sono straordinarie, e questa mostra non solo amplia il canone della storia dell'arte moderna, ma lo trasforma profondamente.
NCM: Se questa mostra fosse stata allestita cinque o sette anni fa, prima delle proteste di Black Lives Matter, pensi che avrebbe avuto un impatto diverso?
MK: Una domanda interessante. Penso che, nel lavoro di Whitten, ci siano sempre due aspetti inseparabili. Da un lato, è un vero e proprio inventore di forme; dall’altro, affronta chiaramente questioni sociali molto profonde. Ma per lui queste due dimensioni coincidono, sono intrecciate in qualche modo. Credo che traiamo sempre beneficio dall’evoluzione del dibattito nella società. Detto questo, penso che Whitten fosse così profondamente impegnato nell’arte astratta che, a volte, le sue opere sembrano quasi decorative. Alcune presentano elementi artigianali, possono richiamare motivi tessili, come se contenessero elementi di tessitura, e credo che sarebbe stato difficile, forse dieci anni fa, per molte persone riuscire a comprenderne davvero la portata e affermare: questo è davvero rivoluzionario, ed è profondamente legato alla storia e alla società. È sullo stesso livello di Rothko e Brice Marden, eppure, quando si vedono queste opere di persona, si riesce a cogliere ciò che stava realmente facendo, come stava trasformando la cultura.
NCM: Parliamo dei mosaici esposti, elementi centrali della mostra. Perchè sono così importanti?
MK: Sono davvero straordinarie. Era molto interessato a riflettere sulla vernice acrilica, creando queste lastre piatte. E poi, intorno al 1985, arriva a questo momento in cui prende una griglia metallica, la preme e la solleva. È così che ottiene questo rilievo. E poi dipinge a mano ognuno di questi pixel, sopra e sotto, anche se già c'è una miscela sottostante. E poi dice: "Aspetta un attimo. Aspetta un attimo, e se prendessi questa lastra, la tagliassi e ricombinassi tutti questi pezzi come un puzzle infinito?" Per lui, questo medium diventa una tavolozza neutra, che agisce come sull’ambra, perché Whitten può infonderlo, in questo caso, con inchiostro Sumi, ma anche con altri materiali, che siano minerali, metallici o qualcosa che assomiglia al vetro. Così, tutti pensano sempre che queste opere siano di vetro o di ceramica o di pietra, ma in realtà si tratta di pittura acrilica, che lui ha semplicemente infuso con molti materiali diversi.
NCM: La tecnica è frutto di sperimentazione o intuizione?
MK: Credo di pura sperimentazione.
NCM: Le sue opere sembrano quasi realizzate dalla natura stessa.
MK: Esattamente, e poi Whitten incorpora questi rilievi scultorei, diventando sempre più ambizioso nel tempo. Ad esempio, con un'opera in mostra, commemora i tragici fatti dell'11 settembre. Ha assistito all'evento, ma non ha realizzato quest'opera per cinque anni, eccetto per una piccola parte. È un'opera affascinante, si può vedere che ci sono glitter, c'è del sangue reale in alcune di queste tessere, oltre che della cenere.
NCM: Quando guardo queste opere, vedo una combinazione studiata di elementi molto antichi e allo stesso tempo contemporanei, poiché il mosaico è sì una tecnica antica, ma che assomiglia a uno sfondo di pixel digitali.
MK: Sì, trascorreva le estati in Grecia dal 1969 e conosceva bene i mosaici bizantini. Più tardi, all'inizio degli anni Duemila, racconta di essere andato in Egitto e di aver visitato per la prima volta il monastero di Santa Caterina e i suoi incredibili mosaici. Disse anche che fu la prima volta che capì che quei mosaici erano stati fatti per essere mostrati a lume di candela. Quindi, vorrei tanto poterlo mostrare a lume di candela, ma non posso. Era così interessato al gioco della luce tremolante.
NCM: Inoltre, con le sue opere riesce a dare l'illusione del movimento e avrebbe creato esattamente quel tipo di narrazione se si fosse potuto utilizzare quella luce specifica. Un'ultima domanda: come curatore di un'istituzione come il MoMA, quale pensi debba essere il tuo ruolo dnella società si oggi, data la natura mutevole la situazione globale in cui viviamo?
MK: Credo che lo stesso Jack Whitten abbia detto al tempo di sentirsi un tramite, una sorta di canale. Penso che, come curatori, noi possiamo aiutare questa trasmissione di messaggi, raccontando la storia e i nuovi modi di vedere il mondo. Lo scopo è quello di tutelare il nostro patrimonio in modo che non vada perduto, garantendo continuità e nuove evoluzioni future. Spero che le persone vengano a visitare la mostra e che rimangano sorprese.
Immagine di copertina: Jack Whitten: The Messenger, Sala della mostra, Piano 6, MoMa, New York City.
Nina Chkareuli-Mdivani è una curatrice, scrittrice e ricercatrice indipendente di origine georgiana e residente a New York. È autrice di King is Female (2018), la prima pubblicazione che indaga le questioni dell'identità di genere nel contesto della trasformazione storica, sociale e culturale dell'Europa orientale negli ultimi due decenni. Nel corso della sua carriera ha tenuto conferenze in tutto il mondo e pubblicato numerosi articoli per riviste come E-flux, Hyperallergic, Flash Art International, Artforum, MoMa.post, The Arts Newspaper e molte altre.
La sua ricerca si addentra nell'intersezione tra storia dell'arte, museologia e studi sulla decolonizzazione, con particolare attenzione all'arte totalitaria e alla teoria del trauma, temi che ha esplorato anche nelle oltre dieci mostre che ha curato a New York, in Germania, Lettonia e Georgia.