Cosa serve per reinventare una fiera d'arte? Intervista con Margot Samel e Olga Temnikova della Esther Art Fair
Le due galleriste Margot Samel e Olga Temnikova, nate in Estonia e attive a livello globale, hanno proposto un concetto diverso di fiera d'arte e hanno debuttato con successo a New York nel maggio 2024. Di seguito troverete le alcune domande che vi faranno comprendere al meglio il loro progetto.
Nina: Esther Art Fair, la nuova fiera d'arte che avete fondato, con la sua edizione inaugurale a New York nella primavera di quest'anno, è drasticamente più piccola e molto più selettiva nell'approccio alle gallerie. Come mai avete deciso di seguire questa strada?
Margot Samel: Credo che per entrambe sia iniziato tutto con lo spazio scelto: la New York Estonian House, situata in un edificio di quattro piani in stile Beaux-Arts a Murray Hill, che offriva un ambiente inaspettato per l'interazione tra artisti e gallerie e questo è stato tutto ciò che è servito per accendere il nostro interesse in questo progetto. Le dimensioni dello spazio e il numero di gallerie sono stati fondamentali: una dimensione perfetta che ci ha permesso di avere colloqui individuali con ogni galleria per capire come gli artisti che proponevano si inserissero nella presentazione complessiva di Esther.
Olga Temnikova: Inizialmente non pensavo a un formato fieristico. Stavo progettando un pop-up in uno spazio stimolante con gli amici, una sorta di opportunità comune di fare rete e comunità a NYC per gli amici che lo trovano utile. Per impostazione predefinita, doveva essere un luogo piccolo e selettivo. Per me, che vengo da questo Paese, è stata una grande opportunità ospitare persone e far conoscere un po' della mia cultura, direttamente nel cuore di New York. Inoltre, volevamo alleggerire la pressione che NYC e il mondo dell'arte in generale esercitano sulle gallerie di medie e piccole dimensioni, non facendo pagare così tanto.
Nina: Pensate che ci siano troppe fiere d'arte nel mondo o che il numero sia giusto? Quali sono le fiere più interessanti per voi?
MS: Sì, penso che ci siano troppe fiere d'arte che si posizionano come internazionali e che forse non ci siano abbastanza fiere regionali che abbracciano le comunità locali, compresi i suoi collezionisti (di tutti i livelli), artisti, curatori, giornalisti, ecc. Come gallerista, faccio sempre ricerca e cerco di scoprire nuovi artisti, quindi fiere come l'Independent di New York e Liste di Basilea, entrambe note per mettere in luce narrazioni meno conosciute, sono fra le più interessanti.
OT: Trovo molto interessanti le fiere più piccole, di dimensioni ragionevoli, dove è possibile concentrarsi e sperimentare la scena artistica locale, incontrare davvero le persone e, grazie a quote di partecipazione più basse, mostrare anche la varietà del programma delle gallerie. So di non dover partecipare solo a questa tipologia di fiere, ma di dover scegliere ogni anno un percorso speciale a seconda delle esigenze dei nostri artisti. L'ideale sarebbe partecipare annualmente a queste fiere più piccole in combinazione con un paio di quelle internazionali più grandi, sapendo che presenteranno i nostri artisti e progetti in modo diverso.
Nina: Ritenete che l'attuale sistema di rappresentazione dell'arte attraverso le gallerie e le fiere d'arte serva a fornire un contributo culturale importante per il pubblico e, in caso contrario, come pensate che questo sistema possa essere cambiato?
OT: Credo che le gallerie diano troppo potere alle fiere e, idealmente, dovremmo essere tutti un po' più analitici nell'approccio alla partecipazione alle fiere e alle nostre strategie internazionali in generale. Le fiere mettono troppa pressione sulle gallerie e, bloccati dalla FOMO, dal tentativo di pareggiare i conti e di compiacere gli artisti, tendiamo a dimenticare il motivo per cui abbiamo scelto di fare ciò che facciamo. Penso che le gallerie di medie e piccole dimensioni debbano far rete, promuovere le relazioni tra loro e concentrarsi su programmi che avvicinino i loro artisti alle scene locali nelle regioni in cui operano.
Le fotografie qui riportate sono installation view dell'ultima edizione della Esther Art Fair
Nina Chkareuli-Mdivani è una curatrice, scrittrice e ricercatrice indipendente di origine georgiana e residente a New York. È autrice di King is Female (2018), la prima pubblicazione che indaga le questioni dell'identità di genere nel contesto della trasformazione storica, sociale e culturale dell'Europa orientale negli ultimi due decenni. Nel corso della sua carriera ha tenuto conferenze in tutto il mondo e pubblicato numerosi articoli per riviste come E-flux, Hyperallergic, Flash Art International, Artforum, MoMa.post, The Arts Newspaper e molte altre.
La sua ricerca si addentra nell'intersezione tra storia dell'arte, museologia e studi sulla decolonizzazione, con particolare attenzione all'arte totalitaria e alla teoria del trauma, temi che ha esplorato anche nelle oltre dieci mostre che ha curato a New York, in Germania, Lettonia e Georgia.